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			27 luglio 2006
 Gentile dottoressa Lunghini
 la settimana scorsa mi sono trovato per caso ad avere 
			contemporaneamente sulla scrivania di studio sia il testo del 
			notissimo decreto legge “Bersani”, sia la prima bozza della proposta 
			di Piano di Governo del Territorio della città di Milano che, com’è 
			forse meno noto, s’avvia a sostituire il vigente Piano Regolatore 
			Generale del capoluogo lombardo.
 Fra le due fonti c’è ovvia ragione di connessione, perchè spetta 
			allo Stato la potestà legislativa sul sistema tributario e contabile 
			dello Stato stesso, in base all’art. 117, comma 1, lettera “e)” 
			della Costituzione ma, per il secondo comma del medesimo articolo, 
			il governo del territorio è invece materia di legislazione 
			concorrente tra Stato e Regioni.
 Di conseguenza, se un’imposizione tributaria statale prende a 
			presupposto una componente dell’attività di governo del territorio, 
			ne deriva inevitabilmente una fortissima influenza della 
			legislazione regionale sull’atteggiarsi concreto dell’imposizione 
			stessa.
 Nel nostro caso, il decreto legge “Bersani” ha considerato l’edificabilità 
			delle aree come elemento a cui è connesso un certo trattamento 
			tributario, ma è la Regione Lombardia ad aver stabilito, con la 
			legge regionale 11 marzo 2005 n° 12, che gli aspetti specifici dell’edificabilità 
			in questione devono poi esser programmati dai Comuni, attraverso il 
			Piano di Governo del Territorio (PGT).
 Quindi il PGT è uno strumento che produce anche importanti effetti 
			tributari, perchè da esso dipende il concreto atteggiarsi dell’edificabilità 
			delle aree.
 Partendo da queste riflessioni, ho provato a simulare la situazione 
			tributaria delle aree milanesi quando saranno contemporaneamente 
			vigenti sia il nuovo PGT comunale che il decreto “Bersani” 
			convertito in legge, ottenendo un risultato a tratti inquietante, se 
			osservato dal punto di vista degli operatori immobiliari.
 Nota bene: il caso concreto è quello milanese, ma le considerazioni 
			di fondo valgono sicuramente per tutti i Comuni della Lombardia, 
			dato che il presupposto normativo regionale è il medesimo.
 Inoltre le considerazioni svolte sono in un certo senso rilevanti 
			per tutte le Regioni, giacchè la perequazione urbanistica, di cui 
			sto per parlare, rappresenta ormai una linea di tendenza generale 
			per le amministrazioni locali italiane.
 La proposta di PGT milanese applica l’articolo 11 della nuova legge 
			urbanistica lombarda, per il quale è ammessa la facoltà di 
			attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione 
			delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a 
			trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità 
			territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per 
			parti del territorio comunale, disciplinandone altresì il rapporto 
			con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi 
			d’intervento previsti.
 Prosegue la norma precisando che, quando i PGT si avvalgono di tale 
			facoltà, essi regolamentano attraverso una loro componente (il 
			piano delle regole) la cessione gratuita al comune delle aree 
			destinate nel piano stesso alla realizzazione di opere 
			d’urbanizzazione ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche.
 Riassumo ora in sintesi come la proposta di PGT di Milano traduce in 
			pratica questi principi normativi.
 Lo strumento attribuisce a tutte le aree del comune in cui ciò non è 
			escluso dalla legge (le c.d.: pertinenze indirette) un unico
			indice territoriale edificatorio di base (art. 6 delle N.T.A. 
			del piano delle regole).
 Ma stabilisce poi che queste capacità edificatorie si possono 
			utilizzare e collocare solo su determinate aree (le c.d.: 
			pertinenze dirette) e solo insieme alla capacità edificatoria 
			sviluppata da queste ultime, per di più subordinatamente al fatto 
			che l’interessato sia titolare di diritti edificatori che 
			saturino almeno l’indice fondiario di zona (artt. 4 e 5 delle 
			N.T.A. del piano delle regole).
 Tradotto con meno tecnicismi giuridici questo significa che, a PGT 
			vigente, quasi tutte le aree comunali (ivi comprese quelle destinate 
			ai servizi pubblici o collettivi) svilupperanno una volumetria 
			edificatoria mentre, sia detto per inciso, i diritti volumetrici 
			oggi eventualmente assegnati dal piano regolatore a taluna di queste 
			aree saranno stati, in quel momento, definitivamente cancellati1.
 Se non che, la concreta attività edificatoria sulle pertinenze 
			dirette potrà poi avvenire solo quando l’interessato avrà acquisito 
			a titolo oneroso dai proprietari delle pertinenze indirette i
			diritti edificatori in quantità tale da soddisfare almeno l’indice 
			fondiario minimo stabilito dal PGT, con cessione gratuita al 
			Comune delle pertinenze indirette da cui sono stati prelevati 
			tali diritti edificatori.
 Attenzione: il meccanismo sopra descritto coinvolge anche gli 
			edifici esistenti e non riguarda solo le aree libere da costruzioni, 
			perchè è previsto che le superfici lorde di pavimento esistenti sono 
			fatte salve solo in caso d’interventi sino alla ristrutturazione 
			(esclusa quindi la demolizione e ricostruzione) e che, per i lotti 
			edificati non saturi rispetto all’indice fondiario minimo, la 
			residua edificabilità può esser sfruttata solo utilizzando il 
			descritto meccanismo di acquisizione dei diritti edificatori 
			dalle pertinenze indirette.
 Chi opera nel settore avrà già compreso che c’è già da esser 
			preoccupati, ma non sarà certo più sereno quando avrò descritto i 
			prevedibili effetti tributari di quanto addietro illustrato, alla 
			luce del decreto legge “Bersani”.
 L’articolo 36, comma 15 del decreto legge 4 luglio 2006 n° 223 ha 
			abrogato anche l’agevolazione tributaria prevista dall’articolo 33, 
			comma 3 della legge 23 dicembre 2000 n° 388, che assoggettava i 
			trasferimenti di beni immobili compresi in piani urbanistici 
			particolareggiati ad imposta di registro all’aliquota del 1%.
 Il progetto di conversione in legge del decreto, nella versione 
			licenziata dal Senato il 25 luglio 2006, si limita a temperare il 
			principio, reintroducendo l’agevolazione solo per l’attuazione di 
			programmi di edilizia residenziale convenzionata coi Comuni.
 Rimane poi in vigore l’articolo 5 della legge 18 aprile 1982 n° 168, 
			che ammette i trasferimenti d’immobili collegati all’attuazione di 
			piani di recupero ex lege 457/1978 alle imposte di registro, 
			catastali ed ipotecarie in misura fissa.
 Dunque, al di fuori di queste eccezioni, il trasferimento di aree 
			edificabili è ora assoggettato ad IVA, se effettuato nell’esercizio 
			d’impresa (art. 2, comma 1 e comma 2, lettera “c)” del d.P.R. n° 
			633/1972, ove è prevista l’eccezione costituita dalla cessione di 
			aree agricole destinate alla costruzione di edifici finalizzati alla 
			conduzione del fondo).
 Fuori dal campo applicativo dell’IVA, il trasferimento delle aree 
			edificabili è invece ora soggetto ad imposta di registro, catastale 
			ed ipotecaria ad aliquota proporzionale al valore del bene, 
			rispettivamente: 8%, 2% e 1%.
 Infine, per le cessioni di fabbricati o loro parti, è stata 
			introdotta la già criticatissima norma di esenzione dall’IVA, solo 
			parzialmente temperata in sede di progetto senatoriale di 
			conversione in legge, sulla quale non mi soffermo, perchè già da 
			molti ampiamente illustrata.
 M’interessa invece chiarire un aspetto che sembra sinora restato in 
			ombra: che, ai sensi dell’articolo 36, comma 2 del decreto “Bersani” 
			(di cui il progetto di conversione in legge conferma sostanzialmente 
			la portata), un’area è da considerare fabbricabile se 
			utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico 
			generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione 
			della regionale e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo.
 Ciò vale ai fini delle varie imposte (IVA, registro, redditi, ICI) 
			ed implica che, nel caso del futuro PGT della città di Milano, 
			dovranno considerarsi attinenti ad un’area fabbricabile tutti i 
			trasferimenti di proprietà della quasi integralità del territorio 
			comunale, essendo infatti escluse solo le aree riservate alla 
			produzione agricola e quelle per cui il PGT imporrà l’intrasformabilità 
			edilizia.
 Infatti, come ho già illustrato, sia le aree di pertinenza 
			diretta sia quelle di pertinenza indiretta saranno, in 
			base allo strumento urbanistico generale costituito dal PGT, 
			i due elementi che concorrono paritariamente alla determinazione 
			dell’indice territoriale di base (art. 4, comma 1 delle N.T.A. 
			del PGT), cioè aree edificabili ai fini tributari.
 Si noti: questo regime tributario riguarderà quasi certamente anche 
			le cessioni “gratuite” al Comune delle pertinenze indirette i 
			cui diritti volumetrici sono trasferiti alle pertinenze dirette, 
			anche se le prime sono aree che, in definitiva, potranno esser 
			utilizzate solo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi 
			collettivi.
 Ancora: questo regime tributario si applicherà fra i privati anche 
			nei casi di cessione delle pertinenze indirette finalizzati 
			all’acquisto dei relativi diritti edificatori, pur se 
			l’operatore non ne ricavi nessun immediato vantaggio edificatorio, 
			non potendo egli attivare un progetto per non aver conseguito 
			ancora, in quel momento, la quantità di diritti sufficienti a 
			saturare l’indice fondiario minimo imposto dal PGT alla 
			pertinenza diretta.
 Si verificherà, in pratica, un fenomeno impositivo di prevedibile 
			grande gettito, fondato però su un presupposto impositivo spesso del 
			tutto fittizio, visto il fatto che lo schizofrenico rapporto tra la 
			norma tributaria e quella dello strumento urbanistico comunale 
			genera un’anomala frattura tra edificabilità di fatto e di diritto.
 Da ultimo: il decreto “Bersani” sembra ignorare completamente che la 
			“moderna” (sic) urbanistica sta sempre più abbandonando le 
			concezioni classiche, caratterizzate dalla partizione tra aree 
			edificabile ed inedificabili e dagli strumenti urbanistici generali 
			(con funzioni azzonative e localizzative) a cui s’accompagnano 
			quelli attuativi (destinati alla formazione del progetto 
			planovolumetrico).
 Infatti il decreto neppure prende in considerazione il descritto 
			fenomeno della cessione di diritti edificatori senza 
			contestuale trasferimento delle aree a cui essi ineriscono e senza 
			possibilità d’uso immediato della relativa capacità edilizia.
 Cosa che potrà pure esser irrilevante in caso di operazioni comprese 
			in campo IVA, laddove provvede la dizione omnicomprensiva 
			dell’articolo 2, comma 1 del d.P.R. n° 633/1972 per la quale 
			costituisce operazione imponibile qualsivoglia negoziazione su beni 
			di ogni genere.
 Ma che fare, quando si è di fronte ad un’operazione fuori campo IVA 
			? La norma di legge tace ma, purtroppo, sembra che, per i futuri 
			eventuali contenziosi giudiziari in cui si voglia sostenere 
			l’irrilevanza fiscale dei trasferimenti di diritti edificatori, 
			la strada sarà in salita.
 Un’antica sentenza, pronunciata quando il regime tributario del 
			trasferimento delle aree edificabili scontava la tassa di registro 
			in misura fissa (bei tempi, dirà qualcuno...) c’informa infatti che 
			...gli atti di cessione di cubatura hanno effetti analoghi a 
			quelli propri degli atti di trasferimento di diritti immobiliari e 
			rientrando nell'ampio concetto di acquisto di aree edificabili, di 
			cui all'art. 14 l. 2 luglio 1949 n. 408 possono essere ammessi a 
			fruire del beneficio della registrazione in misura fissa, sempreché 
			ricorrano le altre condizioni all'uopo richieste dalla legge 
			citata... (Comm. trib. centr., sez. X, 19 ottobre 1988 , n. 6850 
			- Ufficio registro Pordenone c. Società CIMA, in Comm. trib. centr. 
			1988, I,761 - s.m.).
 Oggi, però, vale il contrario: l’imposta di registro è in misura 
			proporzionale. Buone vacanze e grazie ancora, Professor Bersani.
 
 
 1 
			La Relazione al progetto di PGT propone, a sostegno di queste 
			impostazioni della perequazione urbanistica, anche l’intenzione di 
			garantire una tendenziale equità nell’assegnazione dei diritti 
			edificatori che, peraltro, la giurisprudenza ha già censurato, 
			sancendo che è: ...estranea agli obiettivi della perequazione 
			urbanistica ogni finalità, per la quale difetterebbe ogni fondamento 
			normativo e costituzionale, di redistribuzione della ricchezza 
			fondiaria tra i vari proprietari di aree comprese nel comparto, con 
			lo scopo di pervenire ad una distribuzione egualitaria dei benefici 
			economici derivanti dalla pianificazione indipendentemente dalla 
			consistenza e dall'estensione delle aree dei singoli proprietari... 
			(T.A.R. Lombardia Brescia, 20 ottobre 2005 , n. 1043 - P.P. c. Com. 
			Cisano Bergamasco e altro, in Foro amm. TAR 2005, 10 3088).
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