| 
			10 
			gennaio 2008
 
 Nel paesino delle Marche in cui son nato io, l'architetto 
			Massimiliano Fuksas costruì la sua prima commessa pubblica: un 
			centro polivalente, la miniatura d’uno Shopping Center di quelli che 
			si fanno oggi. D’altro canto erano gli anni Settanta e il paesino di 
			cui parlo era noto a pochi per la sua Rocca Malatestiana e per le 
			sue quattro case poggiate su uno di quei fenomeni erosivi che gli 
			indigeni chiamano “Calanchi” e che tradotto, significa pietra 
			friabile, vecchio fondo di mare fatto a sfoglia, come una piada 
			preparata con lo strutto, altro “fenomeno” del luogo.
 
 Di tutte queste cose, nei giorni in cui progettava il suo centro 
			polivalente, il giovane Fuksas deve avere tenuto poco conto. Di 
			piade allo strutto col prosciutto deve averne mangiate poche. Di 
			domande sul mio paese, sulla sua gente, su cosa sarebbe successo in 
			quei luoghi immediatamente dopo l’inaugurazione del centro 
			commerciale, credo di poter garantire non se ne sia fatte proprio.
 Non avrebbe altrimenti appoggiato in quella piazza già depressa in 
			senso geografico una scatola di cemento armato così tremendamente 
			"brutta" da renderla depressa anche in senso estetico.
 Ho pensato a questo quando all’Urban Center della Galleria Vittorio 
			Emanuele di Milano (durante un incontro organizzato il 10 gennaio us 
			, ndr) il noto architetto francese Francois Roche si è lasciato 
			scappare qualche battutaccia su una presunta dittatura estetica 
			imposta al mondo da alcuni archistar tra cui Fuksas appunto. Nomi 
			fatti ad esempio di quello che Roche chiama “retrofuturo nostalgico 
			di un futuro passatista”, frase contorta che rende perfettamente 
			l’idea di tutti questi nuovi edifici ultramoderni che invecchiano in 
			fretta, che poco ascoltano la realtà ed il nostro tempo.
 «Quanto pesa un litro di metri?»
 E’ un verso di Bruno Munari, una domanda insolita che sposta di poco 
			l’abitudine e ci lascia nell’immediato confusi e sorpresi.
 La conferenza di Roche - organizzata e voluta dal Comune di Milano , 
			dalla rivista Abitare e da Made Expo - ha messo in evidenza domande 
			di questo genere, aprendo questioni insolite e poco ordinarie, come 
			ha detto il moderatore Stefano Boeri chiudendo l’incontro.
 Quella dell’architetto francese, nato nel 1961, è una ricerca che 
			tenta di depersonalizzare il lavoro opponendosi all’idea 
			dell’Architetto simulacro, del progetto come concetto paralizzante. 
			Quella di Roche e del suo studio, è una ricerca sulle possibilità 
			concrete e tecnologiche di concepire un nuovo modo di progettare, 
			costruire e abitare. La sua architettura sperimentale si basa su 
			concetti come iperlocalismo, ibridazione, genetica e topologia. «Riarticolare 
			la relazione tra corpo e ambiente, inserire nella progettazione 
			elementi di indeterminazione, costruire macchine tecnologiche che 
			siano in grado di assemblare e concepire l’oggetto architettonico 
			come potenziale anomalia, costruire macchine romantiche capaci di 
			utilizzare la nostalgia come arma»..
 
 Bar in cui bere la propria urina filtrata, macchine elettrostatiche 
			capaci di attirare le polveri inquinanti, case alimentate da un 
			generatore che sfrutta l’energia di un bue, una palazzo veneziano 
			circondato di una struttura pneumatica capace di succhiare nei 
			giorni d’acqua alta l’ecceso di laguna, abitazioni africane che 
			sprigionano carbonio e attirano le zanzare malariche in una trappola 
			mortale.
 Questi ed altri progetti, alcuni realizzati, altri vincitori di 
			premi e appalti e oggi in stand by. Di questi e d’altro si è parlato 
			all’Urban Center.
 E torniamo alle domande. Quelle domande che Fuksas forse non si è 
			posto progettando il suo cubo di cemento per quel mio piccolo 
			paesino marchigiano, quelle domande di cui Roche non pare invece 
			aver timore.
 Anche quando suonano stranamente assurde perché qualcuno ci ha 
			spiegato che all’architettura possiamo chiedere soltanto alcune cose 
			e per le altre "si vedrà".
 Anche quando suonano inutili come chiedersi «quanto pesa un litro di 
			metri», le domande servono sempre.(Lorenzo Taini)
 
 |