30
Aprile 2009
Si è tenuto oggi a Milano, presso Palazzo Clerici e alla presenza di
un pubblico numeroso - il Convegno “Finanza & Housing sociale”
organizzato da Finlombarda - Finanziaria per lo sviluppo della
Lombardia, con il patronato di Regione Lombardia.
Il Convegno ha preso le mosse anche da quanto emerso dall’analisi -
estremamente ben fatta - realizzata da Finlombarda sui modelli di
finanziamento e gli strumenti finanziari per la realizzazione degli
interventi di social housing in Italia, Francia, Germania, Regno
Unito, Spagna e Paesi Bassi, presentata dal Direttore Generale della
finanziaria, Marco Nicolai. Ha offerto un overviews nella UE Laurent
Ghekiere, Rappresentante dell’Unione Sociale puor l’Habitat presso
l’UE, e hanno fornito numerosi particolari e commentato la
situazione nei rispettivi Paesi di appartenenza Steven Wincox,
Professore presso il “Centre for Housing Policy dell’Univesrità di
York (UK), Sebastian Garnier, Policy Officer di Aedes (Paesi Bassi),
Jean Pierre Schaefer, Responsabile Studi Economici di Caisse Des
Depots (Francia) e Cristiana Droste, Direttore di UrbanPlus Droste &
Partner (Germania).
Ecco qui di seguito la Nota di Finlombarda.
"Il Convegno ha teso a evidenziare l’esigenza che al centro delle
politiche della casa siano collocati gli strumenti a supporto dell’housing
sociale “moderno” rispetto a quello tradizionale, incentrato su un
funding prevalentemente pubblico. La distinzione tra i fabbisogni
del social housing tradizionale rispetto a quelli dell’housing
“moderno” si colloca nella demarcazione tra le esigenze abitative
della popolazione al di sotto della soglia di povertà, che dalle
recenti stime di Banca di Italia nel 2006, ha un reddito medio annuo
di 12.000 euro, e chi guadagna di più. In realtà, “chi guadagna di
più” non vede comunque garantita la sostenibilità delle proprie
esigenze abitative: infatti, con 1.500 euro mensili e 85.000 euro di
mutuo si acquistano meno di 30mq a Roma e Milano; con un reddito ben
al di sopra della soglia di povertà pari a 2.000 euro e 112.000 euro
di mutuo si acquistano tra i 30 e i 40mq e con redditi tra 2.500 e
3.200 euro e un mutuo compreso tra 138.000 e 175.000 si arriva ad
acquistare un appartamento di 45mq a Milano.
Non a caso il Cresme stima che nel disagio abitativo permangano
circa 1.758.000 famiglie, di cui quasi 150.000 con redditi
medio-alti comprese nelle soglie sopracitate. Nella periferia di
Milano una famiglia dal reddito medio di 25.000 euro annui,
ipotizzando che utilizzi 1/3 dello stipendio per ammortizzare
l’investimento, impiegherà 38 anni per acquistare un appartamento di
70mq. Nel 1998, con il reddito e i costi equivalenti di allora, la
stessa famiglia avrebbe dovuto programmare 28 anni per ammortizzare
l’investimento: tra il 1998 ed oggi, il mismatching tra costo
immobiliare e crescita dei redditi richiede altri 10 anni di lavoro.
Tutto ciò mentre ISTAT dichiara che il 15% delle famiglie non arriva
a fine mese e il 50% delle stesse vive con 1.900 euro al mese.
La nuova emergenza abitativa trova sicuramente nell’asimmetria tra
evoluzione prezzi delle case e incremento dei redditi una sua
significativa rappresentazione. Se prendiamo i dati Hypostat 2007,
pubblicati da European Mortgage Federation, con l’esclusione della
Germania che adotta una regolamentazione dei prezzi, tutti gli Stati
hanno visto crescere significativamente i valori immobiliari. In
Italia si parla del 101%, pari a quasi 10 volte l’aumento del
reddito pro capite stimato per lo stesso periodo di tempo in un 13%.
Ad accompagnare l’aumento dei prezzi va sicuramente iscritta una
notevole espansione creditizia, un’innovazione nel settore del
credito immobiliare privato e una riduzione dei tassi di interesse
degli ultimi anni. In Italia, secondo i dati dell'European Mortgage
Association, la percentuale di incidenza dei mutui residenziali
complessivi rispetto al PIL è più che raddoppiata, passando dall’8%
nel 1998 al 19% nel 2007, sebbene in Italia vi sia maggiormente
prudenza: l’incidenza dei mutui sul PIL raggiunge l’86% nel Regno
Unito e il 100% nei Paesi Bassi.
Prendendo come indicatore l’importo medio pro capite dei mutui, si
nota come, sebbene gli italiani rimangano i meno indebitati con un
importo medio di 4.700 euro per abitante, significativamente
inferiore ad esempio a Paesi Bassi e Regno Unito che hanno
rispettivamente una media di 34k e 28k euro (mediamente un italiano
ha in capo un debito pari ad 1/6 rispetto ad un Olandese, 1/5 di un
Inglese, 1/3 di un tedesco o spagnolo, ½ di un francese), nel corso
di un decennio il livello medio di indebitamento è aumentato del
244%.
L’incremento della domanda è inscrivibile alla parcellizzazione dei
nuclei familiari che, per la propria autonomia, tendono a
trasferirsi in un’abitazione indipendente, e non solo alla crescita
demografica. In Italia dal 1998 al 2006 la popolazione è cresciuta
del 3,2% rispetto ad una crescita del 10,5% delle famiglie. Nel
rapporto tra incremento della popolazione e incremento delle
famiglie l’Italia è seconda solo alla Germania.
Per comprendere la complessità degli strumenti finanziari a supporto
del social housing, è necessario prendere in esame tre componenti
implementabili dal pubblico. Ogni sistema di social housing include,
infatti, la leva normativa intesa come regolamentazione del mercato
abitativo e accreditamento (ad es. Paesi che optano per un mercato
regolamentato sono Germania e Paesi Bassi; con l’eccezione di
Italia, Spagna e Germania, tutti i Paesi hanno una radicata
esperienza nell’accreditamento di operatori privati, profit e no
profit, come nel caso delle housing association inglese, delle
housing corporation dei Paesi Bassi e degli operatori delle HLM
francesi).
Strettamente connessa alla normativa, la leva urbanistica, che
impone una percentuale di alloggi sociali a fronte di concessione
edificatoria - come, ad esempio, il Plan de la Vivienda spagnolo,
che prevede delle percentuali minime di alloggi da locare a canone
moderato per le nuove costruzioni nei grandi centri urbani, e
Immobiliare Veneziana in Italia, che nel 2008 ha messo a bando
un’area di proprietà nel Comune di Venezia. A fronte del diritto di
proprietà sugli alloggi costruiti sull’area, i partecipanti al bando
dovevano garantire al Comune un numero minimo di alloggi a canone
moderato, che si prevede rimangano nelle disponibilità del Comune
stesso.
Anche la leva fiscale ha un peso significativo: all’estero, dove in
particolare la Germania fa ampio ricorso alla leva fiscale (dagli
ammortamenti anticipati, alla esenzione degli utili, alla riduzione
dell’aliquota IVA), è presente un sistema di incentivi fiscali, ma
esteso all’affitto oltre che alla vendita/acquisto. In Italia la
leva fiscale è più che altro un incentivo alla proprietà (si pensi
alla aliquota agevolata IVA al 4% sulla prima casa).
Per quanto riguarda la leva finanziaria, esempi di strumenti
tradizionali si trovano in Francia con l’1% Logement, una
contribuzione dovuta dalle imprese che impiegano più di 20
dipendenti (post riforma del 2005), equiparabile alla contribuzione
ai fondi Gescal in Italia, ad esempi di strumenti moderni, come i
prestiti subordinati statali interst free delle Housing and
Communities Agency dell’Inghilterra o alle forme più sofisticate di
garanzie pubblica e privata del modello olandese.
Da un punto di vista economico - finanziario, se presupponiamo
l’esigenza di un leverage con gli operatori privati, non possiamo
non considerare che le iniziative di social housing faticano a
collocarsi ad un livello di rimuneratività interessante per gli
operatori privati. Analizzando i rendimenti attesi per tipologie,
dalle rendite che vanno dall’housing sociale tradizionale a quelle
del mercato immobiliare, si nota una significativa divergenza: se
tipicamente il rendimento di un immobile residenziale in affitto è
compreso tra il 4% e il 5% del valore di mercato, nel momento in cui
viene sviluppato direttamente dall’operatore, il rendimento, che
sconta il margine realizzato con la costruzione sta in una forbice
tra il 7% e l’8%. Se però la costruzione viene destinata alla
vendita i rendimenti aumentano significativamente. Per compensare il
rendimento di un asset del social
housing alle aspettative di mercato, l’intervento pubblico deve
intervenire per colmare un gap che sta in una forbice del 6-7% di
rendimento. L’intervento pubblico sarà più contenuto laddove siano
coinvolti operatori etici o soggetti no profit.
Con riferimento alle fasi dell’investimento immobiliare di social
housing, per rendere l’investimento più sostenibile agli operatori è
possibile utilizzare una strumentazione che:
• nel caso dell’acquisto dell’area, sono, ad esempio, la cessione di
aree a basso costo oppure le cessioni e diritti di superficie a
lunghissimo termine;
• nel caso della costruzione, sono, ad esempio, finanziamenti
agevolati: tra i principali esempi, si ricorda quello di Caisse des
Depots in Francia, che raccoglie e gestisce le ingenti somme del
risparmio postale e ne destina una parte all’Housing Sociale e
quello di The Housing Corporation in Inghilterra, che raccoglie
provvista sul mercato finanziario da dedicare al social housing;
garanzie pubbliche: l’esempio più innovativo è offerto dal modello
olandese, che prevede l’abbinamento di un fondo di garanzia privato,
WSW, alimentato da contribuzioni volontarie delle housing
association, che gode di una garanzia di ultima istanza pubblica
dallo Stato centrale e dalle municipalità, e il fondo CVF, un fondo
di garanzia pubblico alimentato da contribuzioni obbligatorie delle
Housing Association;
• nel caso dell’alienazione degli asset sono, ad esempio,
finanziamenti agevolati agli inquilini, come in Inghilterra con i
piani di incentivi all’acquisto, “HomeBuy Scheme”, un prestito in
c/capitale che permette alle famiglie di accedere ad un mutuo.
Il quadro abitativo nel panorama europeo [fig.1] vede dominante la
proprietà dell’alloggio rispetto alla locazione: le punte massime si
toccano in Spagna e Italia con rispettivamente l’85% e il 75%
Un’eccezione di rilievo è rappresentata dalla Germania, che presenta
invece un mercato improntato sull’affitto (57% di alloggi in
affitto). Per quanto concerne lo sviluppo di edilizia sociale,
Germania e Paesi Bassi guidano la classifica con oltre il 30% di
alloggi gestiti in locazione sociale. In Italia e Spagna il panorama
è molto diverso, rispettivamente con il 4% e l’1% sul totale degli
alloggi gestiti in locazione sociale.
Dall’analisi condotta confrontando il livello di presenza dei
privati, l’intensità delle risorse pubbliche investite in social e
affordable housing e gli alloggi a canone moderato (social e
affordable) per 1000 abitanti (comprensivi degli alloggi sociali e
di quelli a canone sostenibile), è emerso come l’Italia e la Spagna
rimangono in una posizione arretrata nell’iniziative di social
housing, sia sul fronte delle risorse pubbliche impegnate, sia nel
grado di copertura del fabbisogno.
L’impegno della Regione Lombardia
A partire dal 2004, la Lombardia ha definito un proprio sistema di
edilizia pubblica, cercando di superare le ristrette categorie
ereditate dallo Stato (sovvenzionata per i più poveri e
agevolata/convenzionata in vendita per il ceto medio). In questo
contesto, si sono succeduti numerosi provvedimenti finalizzati a
realizzare abitazioni a canone ragionevole per il “ceto medio in
difficoltà”, con minori risorse regionali, sostenibili da un punto
di vista economico e con procedure responsabilizzanti per il
soggetto realizzatore e gestore. In questo senso va letta la
definizione di canone moderato, convenzionato e per gli studenti.
Infine, con le recenti norme sull’integrazione sociale e sulla
valorizzazione del patrimonio è stata formalizzata in norma la
possibilità di diversificare il patrimonio in un’ottica di
superamento del tradizionale quartiere/ghetto e di reperimento delle
risorse necessarie per lo sviluppo. Nell’VIII legislatura
(2005/2010) Regione Lombardia ha impiegato risorse pari a 1.160
milioni di euro per attivare 950 cantieri (di cui 780 aperti) per un
totale di 23.550.alloggi (5.150 ultimati, 12.000 in costruzione). Il
patrimonio ERP è di 110.000 alloggi di cui 106.000 delle Aler.
Conclusioni
Punti di forza dei modelli di social housing più evoluti analizzati
sono:
• la presenza di sistemi di accreditamento per operatori privati,
principalmente no-profit, in grado di rispondere alle esigenze di
massimizzazione degli investimenti grazie al canale privato e, al
tempo, stesso evitare fenomeni speculativi;
• l’efficacia di iniziative di social housing su base locale e di un
financing più centralizzato in grado di creare “massa critica” ed
ottenere migliori condizioni di finanziamento. La realtà dei Paesi
Bassi, unica nel suo genere, mostra come un complesso e articolato
sistema di garanzie e controlli permetta una spesa pubblica minima a
fronte di elevati finanziamenti privati;
Il settore pubblico può reinterpretare il proprio ruolo, attivando
sul territorio una serie di strumenti per incentivare l’accesso ai
capitali privati anche per quei soggetti (operatori sociali ma senza
escludere i soggetti for profit) che vogliano attivarsi in
iniziative di social housing. Il ruolo del pubblico, che pure è
imprescindibile nel definire le politiche di regolamentazione del
mercato abitativo, si mostra quindi in evoluzione: il pubblico,
anziché finanziare direttamente le iniziative, ne agevola la
raccolta di risorse mettendo a disposizione la propria massa
critica.
Al Convegno di oggi hanno dato il loro contributo gli interventi di:
, Lorenzo Bellicini, Direttore Tecnico del Cresme, Roberto Brustia,
Dottore Commercialista di CBA Studio Legale e Tributario, Annamaria
Pozzo, Direttore Tecnico di Federcasa, Gualtiero Tamburini,
Presidente di Nomisma, Matteo Del Fante, Responsabile Direzione
Immobiliare di Cassa Depositi e Prestiti, Fabio Vittorini,
Responsabile politiche commerciali di Dexia Crediop, Sergio Urbani,
Consigliere Delegato di Fondazione Housing Sociale, ed Ezio Micelli,
Presidente Immobiliare Veneziana" (CS della Società).
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