di Daniel While, Head of Research, Strategy and Sustainability di Primonial REIM
Negli ultimi mesi, la BCE ha continuato ad aumentare regolarmente i tassi d’interesse di riferimento, raggiungendo il 2,50% entro la fine del 2022 e le dichiarazioni di Christine Lagarde lasciano intendere possibili ulteriori aumenti nel 2023. Per quanto riguarda l’economia reale, si prevede una recessione o quasi-recessione nell’Eurozona, probabilmente più dura in Germania e in Italia rispetto che in Francia. Più a lungo termine, dovrebbero entrare in gioco fattori recessivi più strutturali: i costi dell’energia che rimarranno significativamente più alti rispetto al passato e i costi di finanziamento (compreso il costo del debito pubblico) che porteranno l’economia europea fuori dall’era dei tassi negativi.
Il principale fattore d’incertezza per il 2023 riguarda l’inflazione: scenderà ancora, come registrato a novembre e dicembre? Cosa accadrà alla componente energetica dell’inflazione a causa della guerra in corso in Ucraina? A quale livello di inflazione la BCE ritiene che i tassi di policy debbano essere stabilizzati? La maggior parte degli osservatori ritiene che l’inflazione raggiungerà un plateau. Visti i pericoli per la sostenibilità del debito pubblico (ma anche di quello privato) e i rischi politici di una crisi sociale, ci si può aspettare che i rialzi dei tassi siano più moderati. La posizione degli investitori è, logicamente, “di attesa”, aspettano la conferma di un possibile calo delle valutazioni prima di tornare sul mercato. L’asset class immobiliare deve ricostruire il suo premio per il rischio per tornare a essere investibile e finanziabile in condizioni interessanti. Detto questo, non si vede alcun segno di perdita di interesse da parte degli investitori per il settore immobiliare. Le classi di attività “acicliche” come l’immobiliare sanitario sono ancora interessanti per gli investitori, così come, più in generale, i prodotti con driver demografici di performance, tra cui l’edilizia abitativa, dove non si assiste ancora ad un’inversione di tendenza. È possibile ritenere che, non appena il momento sarà adeguato, gli investitori torneranno, soprattutto perché il mercato degli affitti sta procedendo bene, anche nel settore degli uffici di alta qualità.
Con i rendimenti delle obbligazioni sovrane al 3%, sarebbe logico che i profitti di acquisto degli uffici di prima categoria raggiungessero livelli compresi tra il 4 e il 4,5%, ovvero i livelli del 2013/2014. La sfida sarà quella di raggiungere questo obiettivo in modo graduale, senza un calo improvviso delle valutazioni, grazie all’effetto ammortizzante dell’indicizzazione degli affitti. Si può anche sperare che il mercato ristabilisca una reale differenza tra asset recenti e vecchi e tra location centrali e secondarie, che negli ultimi anni tendeva a sfumare. Dobbiamo sperare nel ritorno di un mercato immobiliare più economico e sano, cioè più segmentato. L’ESG, e più specificamente l’intensità energetica e di carbonio delle attività, diventerà progressivamente uno dei fattori di differenziazione del mercato di domani. Infine, è presumibile pensare che proseguirà una tendenza in atto da diversi anni: il ribilanciamento dei portfoli istituzionali tra asset ciclici (uffici, retail) e aciclici (sanità), tra asset a valore aggiunto (residenziale) e asset a rendimento (logistica). Con la decompressione dei rendimenti, la componente principale della performance sarà il reddito da locazione.
L’Italia è un mercato in fase di repricing, vista l’impennata dei tassi sovrani (4,3% a inizio anno). Nel corso del 2023 dovrebbero formarsi punti di ingresso interessanti in tutte le classi di attività.