05 maggio 2010
		Intervento di FEDERICO 
		FILIPPO ORIANA, PRESIDENTE NAZIONALE ASPESI al Convegno organizzato da 
		Business International sul tema “REAL ESTATE 2010
		INNOVATION SERVICES”
		Da non milanese che 
		lavora a Milano –e non sono il solo- credo di vedere un aspetto che mi 
		pare in genere sfugga. 
		
		Milano in termini territoriali è una “capitale”, l’unica che abbiamo in 
		Italia. 
		
		Cosa intendo in questo caso per capitale? Un polo di attrazione di 
		persone non solo da un hinterland, ma anche da un’area più vasta 
		–addirittura pluriregionale se non nazionale se non internazionale-.
		
		Per spiegarmi meglio confronto Milano con Roma, la Capitale ufficiale 
		del Paese. 
		
		Roma, come tutti sapete, è molto più grande di Milano. Tutto il Comune 
		di Milano ha un’estensione pari all’EUR allargato, ossia a una zona di 
		Roma tra le tante. Ma il Comune di Roma finisce nella campagna o nel 
		mare, non vi sono città circostanti. Milano è circondata da tutti i lati 
		da grandi città, capoluoghi di provincia (Monza –la terza città della 
		Lombardia per numero di abitanti- che sta “in fondo al viale”, Pavia, 
		Lodi, Bergamo) tutti a mezz’ora di auto. O non capoluoghi ma molto 
		importanti come Busto Arsizio, Gallarate, Magenta, Legnano e ne 
		dimenticherò molti non essendo un esperto di geografia lombarda. O 
		capoluoghi di provincia appena più lontani, ma profondamente integrati 
		nel sistema milanese come Varese, Como, Lecco e ci metto anche Novara 
		che pur essendo al di là del Ticino e, quindi, in Piemonte –lo dico per 
		esperienza personale- gravita in tutto e per tutto su Milano. O 
		relativamente piccoli comuni –come Segrate piuttosto che Sesto San 
		Giovanni- ma in un numero immenso e anch’essi “in fondo al viale”.
		
		Un piccolo comune, quindi, ma al centro di un’immensa area 
		metropolitana, in termini di abitanti e di PIL una delle maggiori 
		d’Europa. Anzi, come si dice da un po’ di tempo, Milano è il centro di 
		Milano. Ed è un modello abbastanza unico in Europa perché anche la 
		Grande Londra –pur somma di comuni come Westminster, Kensington & 
		Chelsea, London ecc.- è un’immensa cattedrale nel deserto, in quanto 
		questi comuni sono una fictio juris trovandosi tutti all’interno dello 
		stesso centro abitato: sono in realtà solo quartieroni (detto con il 
		massimo rispetto da un adoratore di Londra). 
		
		Tutto questo è risaputo e ha generato il dibattito –per la verità per 
		ora abbastanza sterile- sulla città metropolitana, inutilmente prevista 
		dalle recenti revisioni costituzionali e mai attuata. Ma c’è di più nel 
		caso di Milano, molto di più. Il suo essere capitale, lo ripeto l’unica 
		in questo senso in Italia, deriva –anche e soprattutto- da un altro 
		fenomeno, diverso da quello dell’hinterland e del pendolarismo. Ogni 
		giorno migliaia di persone partono –soprattutto in automobile, ma anche 
		in treno e in aereo- da città lontane o che, comunque, non fanno parte 
		in alcun modo del suo sistema metropolitano per raggiungere Milano per 
		business. Da Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Palermo, 
		dalle città minori di tutta Italia e, ovviamente, anche da Roma, la 
		capitale politico-istituzionale. E anche da Lugano, Canton Ticino, e da 
		Monaco di Baviera.
		
		Questo mondo non viene mai considerato dalla programmazione pubblica, 
		regionale e comunale, viene visto pochissimo dalle statistiche, ma 
		costituisce l’anima stessa di Milano, la fonte del suo essere e del suo 
		benessere. Credete a quello che vi dico perché ne ho esperienza diretta: 
		da quando (una ventina d’anni) la mia base è Milano ho meno difficoltà 
		ad incontrare gente di altre regioni di tutta Italia che devo vedere 
		–amici piuttosto che interlocutori di lavoro- di quanto ne avessi prima 
		quando la mia base era Roma. Perché il movimento per lavoro supera di 
		gran lunga quello per turismo (che pure meriterebbe anche per Milano un 
		ampio capitolo a parte). Tutti -veneti o siciliani, per non parlare dei 
		miei corregionali liguri che qui sono di casa, o degli emiliani, o dei 
		piemontesi- a Milano capitano. E capitano per lavoro, per affari, quindi 
		per operazioni ad alto valore aggiunto. Ma la domanda sorge spontanea: 
		cosa fa Milano per loro?
		
		Vi è, poi, un’altra fascia ancora, meno numerosa ma forse ancor più 
		importante qualitativamente: gli stranieri che decidono di vivere a 
		Milano per business: americani, tedeschi e giapponesi in particolare. 
		Ma, ne sono sicuro, presto arriveranno i cinesi di alta gamma e poi gli 
		indiani. Interessa tutto questo alla città e alle sue istituzioni? Io 
		credo che questo sia il futuro di Milano, l’unico possibile in uno 
		scenario di eccellenza, quello che contraddistingue Milano da molti 
		secoli. L’alternativa è una decadenza strutturale senza ritorno ora che 
		l’attività industriale tradizionale ha dovuto spostarsi in altri lidi.
		
		
		Ma la programmazione pubblica ha scelto altre strade, ignora 
		completamente il mondo non di pendolari ma di soggetti esterni –italiani 
		e non- che operano in questa città in un’ottica di capitale. Che 
		significa: “io ho la mia città ma Milano è il mio riferimento di 
		business”. Anche il nuovo PGT di Milano punta a un aumento della 
		popolazione residente –se mi è permesso, anche perché non sono il solo a 
		pensarlo, abbastanza irrealistico- ma ignora completamente una città 
		nella città che ha Milano come riferimento professionale e produttivo. 
		Senza la quale Milano invece di “densificarsi”, come l’Amministrazione 
		vorrebbe, si “desertificherebbe” sia in senso demografico (oltre 700.000 
		persone entrano tutti i giorni a Milano), sia –soprattutto- in senso 
		produttivo e strategico nella drammatica competizione in atto tra città 
		europee e mondiali.
		
		Il problema è forse che questo mondo di non residenti non vota a Milano. 
		Né alle elezioni comunali, né alle regionali, né alle politiche. E anche 
		quello che si tratta di una popolazione in parte in continua rotazione, 
		poichè questa mattina sono arrivati a Milano businessmen (nel senso più 
		ampio) diversi da quelli che entreranno domani. 
		
		Tra l’altro gli studi più recenti in possesso dell’Aspesi evidenziano 
		che tra gli stranieri ad altissimo livello di ricchezza l’interesse per 
		Milano è recentemente cresciuto. Questo fenomeno è positivo perché fa 
		tendenza, ma il problema in termini di interesse generale della città 
		–e, quindi, di public policy- non è la fascia altissima di ricchi russi, 
		arabi e americani che acquistano dimore extralusso e si risolvono i 
		problemi da soli con il denaro, ma quella sottostante dei 
		middle-manager, degli imprenditori giovani ed emergenti, dei young 
		professionals italiani e stranieri. E questo di tipo di persone ha 
		bisogno di una comoda accessibilità a Milano e di case.
		
		Mi concentro sul primo aspetto perché costituisce la mia attività sia 
		come operatore che come rappresentante della categoria degli operatori 
		immobiliari. Le case delle quali il cotè più avanzato in termini 
		produttivi che accede a Milano necessita non sono né le magioni 
		extralusso, né il social housing o, comunque, le realizzazioni delle 
		cooperative in edilizia convenzionata. Necessitano di appartamenti 
		normali, in zone semicentrali o di buone periferie ben collegate con il 
		centro. Ossia proprio di quegli appartamenti che oggi è impossibile 
		realizzare a Milano per diversi fattori di nuovi extracosti e perché le 
		previsioni del nuovo PGT non portano in questa direzione. 
		
		E’veramente impossibile, per motivi di tempo, entrare in questa sede in 
		un’analisi seria del nuovo PGT sotto questo profilo e in 
		un’illustrazione dei nuovi fattori di costo che inducono –oggi per la 
		prima volta- molti miei colleghi a lasciar cadere opportunità di 
		sviluppi immobiliari. Ne ricordo solo uno perché di diretta competenza 
		della Giunta Comunale e, a mio avviso, di semplice soluzione. Gli oneri 
		di urbanizzazione triplicati con una delibera del 2007 anche per zone 
		completamente urbanizzate dove, quindi, il Comune non ha alcun onere 
		aggiuntivo derivante dal recupero di un’area o di un edificio.
		
		Mi devo fermare qui. 
		
		So che l’argomento che ho toccato è vastissimo e con implicazioni 
		complesse di tipo urbanistico, trasportistico, ma anche sociale, 
		economico e perfino costituzionale per la difficoltà di trovare un punto 
		di equilibrio tra le esigenze della comunità residente che ci vive e 
		quelle di un mondo che usa la città, ma anche la arricchisce e la 
		qualifica come i milanesi intelligenti sanno bene. Per poter trovare un 
		punto di equilibrio in una dicotomia occorre però almeno avere coscienza 
		dell’esistenza di entrambe le situazioni e posizioni. Vorrei, quindi, 
		domandare ai programmatori pubblici: 1) sapete dell’esistenza di un 
		mondo produttivo, non necessariamente pendolare, che accede 
		quotidianamente a Milano? 2) come lo vedete? pensate di incoraggiarlo o 
		di scoraggiarlo? 3) se pensate di incoraggiarlo, come?