5 febbraio 2010
(Il Tar del Lazio, con sentenza depositata ieri 4 febbraio 2010, ha
annullato la perequazione urbanistica e finanziaria introdotta nel Piano
Regolatore Generale del Comune di Roma, approvato nel 2008).
di Achille Colombo Clerici,
Presidente di Assoedilizia e Vicepresidente di Confedilizia
È un campanello d'allarme anche per il Piano di Governo del territorio
che il Comune di Milano si appresta a varare.
D'altronde, anche la presenza della legge regionale Lombarda,che ammette
l 'introduzione, in via facoltativa, del principio perequativo negli
strumenti comunali di pianificazione territoriale potrebbe non mettere
al riparo dal rischio di un conflitto di attribuzione con lo Stato (
trattandosi nella specie di un principio generale dell'ordinamento
giuridico che non è stato oggetto di una codificazione legislativa
nazionale ), ne' dal rischio di illegittimita' sul piano costituzionale.
Anche perche' la perequazione viene realizzata in modi diversi a seconda
di quanto ritiene il singolo Comune : per ambiti di compensazione, su
tutto il territorio comunale, dichiarando su tutto il territorio, ma
escludendo poi aree soggette a vincoli preordinati o predefenite.
E d'altronde Assoedilizia da tempo va richiamando l'attenzione sul fatto
che la perequazione non abbia a servire per attribuire una potenzialita'
edificatoria ad aree che non hanno alcuna vocazione edificatoria; e
comunque venga concepita, anche nei suoi momenti attuativi, nella piena
trasparenza e sotto il controllo pubblico, a garanzia della certezza dei
diritti privati.»
La questione sottoposta al giudizio del Tar del Lazio trae origine, come
si ricava dai motivi del ricorso,dal fatto che « la riserva a titolo
gratuito di una consistente quota parte dell’edificabilità di un’area
privata a favore del Comune sarebbe palesemente illegittima per
violazione dell’art. 7 della L. n. 1150/1942 e dei principi generali in
materia urbanistica in relazione all’art. 42 della Costituzione.
Ciò in quanto:
a) il diritto a edificare continua a inerire alla proprietà; pertanto
non è sufficiente far salva la misura dell’edificabilità storica, data
per acquisita, e considerare invece come parzialmente acquisibile dal
Comune la quota di edificabilità attribuita con il nuovo piano: se una
determinata area esprime una certa edificabilità in base allo strumento
urbanistico attualmente vigente, essa spetta tutta al privato secondo la
legge e la Costituzione;
b) il meccanismo adottato dal Comune è privo di copertura legislativa
nazionale di carattere generale;
c) le previsioni di cui all’art. 1, commi 258 e 259, della legge n.
244/2007, che introducono un meccanismo simile, non sono comunque
applicabili, soprattutto per ragioni sostanziali di contenuto e di
ambito applicativo; e ove lo fossero, andrebbero comunque considerate
incostituzionali.
Osserva il Collegio giudicante che lo strumento adottato dal Comune di
Roma, con riferimento agli ambiti di compensazione, configura una forma
di espressa sottrazione ai proprietari della parte maggioritaria della
quota di edificabilità aggiuntiva agli stessi riconosciuta. E questo -
si badi bene - non come esito di una negoziazione: la quota riservata
alla mano pubblica è stabilita “a priori” dal piano, il quale dapprima
la quantifica con precisione, facendo salve le indicazioni del Programma
preliminare solo in senso più restrittivo, e conseguentemente stabilisce
a carico dei proprietari degli Ambiti di compensazione (art. 18, comma 4
delle N.T.A.) un puntuale obbligo - una volta approvato lo strumento
urbanistico esecutivo - di cedere al Comune, o a soggetti terzi dallo
stesso individuati, la superficie fondiaria corrispondente alle
previsioni edificatorie riservate al Comune medesimo.
Si tratta di un meccanismo a carattere normativo, e come tale, quindi,
non solamente dotato di una più diretta influenza sulla stessa
sostanziale conformazione della proprietà, ma anche vincolante “ex
ante”,in via generale e astratta, i soggetti dell’ordinamento, e quindi
incidente direttamente e imperativamente sul contenuto del successivo
eventuale accordo delle parti. Sotto questo profilo, considerando le
N.T.A. del Piano come un atto normativo, il problema del rispetto non
solo del principio di legalità, ma della vera e propria riserva di legge
prevista dall’art. 23 della Costituzione, rimane allora ineludibile
(dato che il Comune è comunque privo di poteri legislativi, anche nel
sistema autonomistico disegnato dalla riforma del Titolo V della
Costituzione).
Ne consegue quindi, in conclusione, la fondatezza della censura
proposta, dovendosi ritenere illegittima la previsione del contributo
straordinario, attesa la carenza della necessaria base legislativa, non
solo a livello statale, ma anche a livello regionale, non potendosi
considerare sufficiente, a tal fine, il riferimento contenuto nell’art.
18, comma 7, della L.R. n. 21/2009 (esaminata in precedenza), che
attiene alla sola materia dell’edilizia residenziale sociale. Tale
profilo, che è assorbente e decisivo nel campo del diritto pubblico,
impedisce di per sé di prendere in considerazione le pur pregevoli e
meditate giustificazioni di rango sistematico e teleologico fatte valere
dall’Avvocatura comunale in ordine alla coerenza del contributo
straordinario con l’impostazione generale del piano regolatore, col
metodo perequativo e con le finalità di interesse pubblico perseguite.