(28 aprile 2009)
di Achille Colombo Clerici, Presidente di Federlombarda e di Assoedilizia, e
Vicepresidente di Confedilizia
Qualche giorno fa il
Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, a Washington, dove
partecipava come Presidente ai lavori del Financial Stability Board, ha
dichiarato che fortunatamente, sulla base dei dati attuali, non sembra che
il nostro Paese soffra dell'esistenza di una vera e propria bolla.
Draghi, poi, riferendosi al mercato immobiliare americano, che può
presentare rischi di scarsa tenuta dei valori, aggiungeva come suggerimento
al Governo di sostenerlo.
Per cercare di capire lo stato di salute del nostro mercato immobiliare,
occorre anzitutto muovere la riflessione nella consapevolezza esso presenta
una particolare stabilità ed equilibrio.
Il nostro mercato, nello specifico, è enormemente meno dinamico e meno
volatile rispetto al mercato finanziario.
Intanto, è costituito da un enorme numero di soggetti: secondo i dati
elaborati dal Cescat Centro studi di Assoedilizia, i proprietari immobiliari
(in proprietà piena o pro quota) in Italia sono 47 milioni di soggetti (tra
persone fisiche e persone giuridiche). Così suddivisi:
- 39 milioni i proprietari di fabbricati di cui 1,8 milioni di persone
giuridiche (28,5 milioni di unità residenziali e oltre 23 milioni di unità
catastali ad uso diverso); dei 39 milioni complessivi, 9 milioni di soggetti
sono proprietari anche di terreni;
- 8 milioni proprietari di soli terreni.
Il 96% è costituito da cittadini italiani.
Il valore medio dell’investimenti per ogni soggetto è di circa 150/200.000
euro.
Il dato riguarda l'universo dei proprietari immobiliari italiano ed è altro
rispetto al dato di cui si parla abitualmente, riguardante il titolo di
godimento dell'alloggio (il 73 % delle famiglie abita la casa in proprietà).
Il raffronto con il mercato dei titoli mobiliari mostra come l'investimento
in Borsa sia apprezzabile, rispetto all'investimento immobiliare, per la
possibilità di rilevamento quotidiano (monitoraggio) del valore del proprio
patrimonio e per la rapidità di monetizzazione, in tempo reale.
Ma il dinamismo, mentre in periodi di congiuntura economica favorevole è
scandito dalla domanda ed è fattore di crescita del mercato e dei valori, in
un periodo di crisi economica, scandito dalla offerta, offre minori garanzie
di stabilità dei valori stessi.
Tanto che, ai fini della valutazione della tenuta dei prezzi e
dell'eventuale calo, occorre tener conto, nel dimensionare l’entità dello
stesso, anche del coefficiente di offerta: e la tenuta è inversamente
proporzionale al dinamismo.
Al limite, se non c’è offerta, non c’è calo di valori.
Se consideriamo dunque il dinamismo rappresentato dal valore delle
transazioni nell’arco temporale annuo in rapporto a quello delle
capitalizzazioni dei rispettivi mercati, troviamo che la Borsa Valori ha un
dinamismo di circa 250 volte rispetto al mercato immobiliare.
Il calcolo assume il dato relativo al volume delle compravendite dell’anno
scorso: che è di 140 miliardi di euro.
Nel mercato immobiliare, il “flottante”è solo il 2-3%. Con questa
definizione intendiamo la parte mobile dello stock immobiliare: a fronte
della parte che rappresenta gli investimenti stabili per una destinazione
funzionale di natura strutturale. Ad esempio per una ragione di
finalizzazione diretta, volta ad un uso di carattere residenziale,
industriale, commerciale; o per una ragione reddituale-destinazione a
reddito.
Mutui in essere del settore residenziale, circa 260 miliardi di euro, che
coprono circa il 9-10% del valore ed il 15% del numero delle abitazioni;
sofferenze pari all’1% del totale.
La percentuale delle famiglie indebitate (12% per mutui e 13% per crediti al
consumo) è più bassa rispetto agli altri Paesi industrializzati (Francia
30%; USA 50%).
La crisi del sistema finanziario dei mutui statunitensi è stata generata non
tanto dal difetto di una copertura delle esposizioni bancarie sul piano dei
valori di garanzia, quanto piuttosto da un marcato squilibrio tra
indebitamento delle famiglie e capacità delle stesse di rispondere con il
proprio reddito. Infatti, grazie anche alla cultura tipicamente americana
della spiccata mobilità abitativa, le famiglie hanno praticato una sorta di
riporto immobiliare (permesso e favorito da una notevole crescita dei
valori): per cui, alla fine, ai primi cedimenti del mercato, le stesse si
sono trovate ad una scopertura sul piano dell’indebitamento fino a due o tre
volte la propria capacità di spesa.
STRATEGIA: CONTENERE L'AUMENTO DEL FLOTTANTE E CONSEGUENTEMENTE RENDERE PIÙ
COMPETITIVO L'INVESTIMENTO IMMOBILIARE
Normalmente, in un periodo di crisi economica con conseguente calo della
liquidità è probabile che si assista, nel settore immobiliare, a una
contrazione della domanda dovuta a due cause congiunte: ad una minore
disponibilità economica e ad una ridotta necessità funzionale.
Se non interverrà una massiccia crescita del flottante per dismissioni di
immobili da parte di soggetti necessitati a farlo per esigenze monetarie di
liquidità o per scarso interesse al mantenimento dell’investimento, allora
si potrà fondatamente sperare che i valori possano “tenere” nel tempo.
Altrimenti si andrà incontro ad una prospettiva di forti ridimensionamenti
dei valori stessi.
Contenere i FATTORI che generano una COMPRESSIONE DELLA REMUNERATIVITA'
DELL'INVESTIMENTO IMMOBILIARE.
Per studiare i correttivi occorre individuare quali sono le cause che
riducono l’interesse al mantenimento dell’investimento immobiliare.
Anzitutto la scarsa remuneratività.
Due i fattori che determinano la remunerativita: la redditività (che cala in
momenti di crisi economica) e gli oneri vari (costi ed imposte).
Fra questi spiccano:
- L’aumento progressivo delle imposte, erariali e locali; ad esempio
dell’ICI per gli immobili soggetti al pagamento di questa imposta.
- L’aumento della Tarsu
- La prospettiva di aumento di tutte le spese condominiali (per l’aumento
del costo dei servizi vari) nonchè delle spese di gestione (manutenzione) e
di amministrazione degli immobili (da quelle contabili a quelle
assicurative).
Consideriamo che anche il mancato utilizzo dell'immobile ha un suo costo:
quello collegato all'obsolescenza naturale, favorita dall'inoccupazione.
- I costi delle opere di adeguamento funzionale e di riqualificazione degli
impianti e degli immobili, in relazione alle normative energetiche; nonchè i
costi di certificazione energetica.
RIVITALIZZARE LA LOCAZIONE PRIVATA correggendo la fiscalità punitiva nei
confronti dell'investimento in locazione.
Ci sono molte incongruenze e molte asimmetrie nella politica
economico-fiscale seguita dai nostri governi da trent'anni a questa parte.
Si dice ad esempio di voler favorire la locazione privata e poi si
colpiscono le società immobiliari che sono i soggetti che presentano la
maggior vocazione ad essere collettori di risparmio verso l'investimento in
locazione. Il regime fiscale discriminatorio e vessatorio nei confronti
delle società di gestione immobiliare ne è esempio. Qui i redditi sono
colpiti, peraltro da una tassazione piena, due volte: dapprima in capo
all'ente e poi in capo al socio.
Osserviamo che le società immobiliari rappresentano la gestione diretta del
risparmio privato investito nell'immobiliare, attraverso la mobilitazione
del sistema; a differenza delle SIIQ (Società di investimento immobiliare
quotate) che rappresentano viceversa la gestione intermediaria di tale
risparmio, attraverso operazioni singole e quindi di nicchia.
Incidentalmente, consideriamo che le SIIQ, a differenza dei REITS di
tradizione anglosassone, non sono destinate esclusivamente alla gestione del
risparmio diffuso (ben potendo un unico socio possedere più del 50 % del
capitale) e non hanno vincolo di sorta all'investimento di una quota di
capitale nella locazione abitativa.
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