| (17 aprile 2009) di Antonio Intiglietta, Presidente EIRE -Expo Italia Real Estate
 
	Con il decreto del Governo sul 
	Piano Casa l’Italia si appresta a cambiare la propria politica della casa e 
	le modalità del proprio sviluppo edilizio e urbanistico. Provo a individuare 
	almeno per ordine quali sono i principali elementi delle politiche abitative 
	a cui il Governo vuole mettere mano, con la premessa che qualsiasi suo 
	intervento necessiterà inevitabilmente un’applicazione legislativa 
	conseguente da parte delle Regioni e una nuova normativa urbanistica da 
	parte dei Comuni e degli enti locali in generale. 
 Il primo importante tema toccato dal Governo riguarda il diritto di abitare 
	da parte delle categorie meno abbienti, che non si possono permettere di 
	acquistare una casa in edilizia libera. La scelta è di muoversi su due 
	fronti: da una parte mettere in moto le funzionalità delle Aler locali in 
	modo da poter cedere, attraverso sostanziose agevolazioni, la proprietà 
	delle case affittate agli attuali inquilini. Così verranno generate nuove 
	risorse finanziarie che favoriranno la riqualificazione e la 
	ristrutturazione del patrimonio abitativo nel suo complesso, creando anche 
	spazi di mercato per le piccole e medie imprese del settore edile. L’altro 
	fronte dell’azione governativa riguarda invece la messa a disposizione di 
	nuovi fondi, si parla di circa 550 milioni di euro, che saranno dedicati, 
	tramite le Regioni, a interventi di politiche di edilizia convenzionata a 
	prezzi agevolati, che permettano in particolare l’acquisto a medio-lungo 
	termine di case oggi in affitto riscattandole a costi vantaggiosi. Due 
	azioni con cui il governo comincia a rispondere in modo rapido e concreto 
	alle necessità di social housing che il Paese esprime da tempo: un passo in 
	avanti verso una vera politica dell’abitare sociale che va guardato con 
	positività e obiettiva simpatia. Aggiungo però che i sistemi regionali 
	devono attrezzarsi per una vera e propria riforma di housing sociale, 
	seguendo un modello riassumibile nello slogan "più sussidiarietà e meno 
	statalismo", ovvero favorendo di più l’iniziativa dal basso e preoccupandosi 
	di creare le condizioni economiche più vantaggiose perché queste iniziative 
	possano rispondere in modo efficace al bisogno della società. Mi riferisco 
	ad esempio alla richiesta di case in affitto calmierato di quelle categorie 
	sociali che oggi non possono permettersi l’acquisto della casa neanche in 
	edilizia convenzionata. Una fascia sociale molto ampia e in crescita 
	specialmente nelle aree metropolitane, a cui si deve rispondere non solo con 
	nuovo denaro ma con una politica di incentivazione attraverso fondi 
	regionali o strumenti finanziari verso coloro che possono realizzare nuove 
	case e metterle sul mercato a costi sociali sostenibili. Inoltre ribadisco 
	la necessità, e mi sembra che le ultime disposizioni dell’Unione Europea lo 
	permettano, di un politica fiscale dedicata a questa specifica iniziativa, 
	immaginando un imposta del 4%, - senza nulla togliere alla positiva 
	iniziativa di Tremonti di abbassare l’aliquota al 10% per le altre attività 
	di edilizia. Non si capisce infatti perché chi acquista la prima casa sia 
	agevolato con l’iva al 4%, e invece non lo sia per nulla chi decide di 
	andare in affitto. Mi pare un’evidente e palese ingiustizia sociale. Mi 
	aspetto quindi che le nuove disposizioni di legge regionali, così come già 
	accade in Regione Lombardia, vadano sempre più in direzione di una politica 
	di social housing che incentivi la libera iniziativa dei soggetti sociali 
	già presenti sul territorio e il processo di costruzione di nuove case 
	ecosostenibili e qualitativamente dignitose ma a costi agevolati. Andando a 
	fondo della questione aggiungo che una vera politica sociale per le case in 
	affitto richiede il coraggio da parte delle Regioni, delle Province e dei 
	Comuni italiani di ridefinire un vero e proprio "buono casa" per quella 
	fascia sociale veramente povera che non può permettersi neppure un affitto 
	calmierato. Uno strumento utile per eliminare la procedura alquanto 
	burocratica oggi vigente delle liste d’attesa per le case popolari, spesso 
	raggirata da soggetti che in realtà non avrebbero diritto ad accedervi. Per 
	farlo bisogna saper coinvolgere soggetti di controllo e di aggregazione 
	sociale in sostituzione delle istituzioni pubbliche, mettendo in pratica il 
	principio di Tony Blair secondo cui il contributo deve raggiungere 
	direttamente chi ne ha bisogno.
 
 Il secondo tema toccato dal decreto governativo sul Piano Casa riguarda la 
	riqualificazione e la ristrutturazione di buona parte del patrimonio 
	immobiliare pubblico e privato del Paese, che prevede un sistema di 
	premialità per l’abbattimento e ricostruzione o per la ristrutturazione. 
	Premialità che raggiunge importanti quote percentuali laddove l’intervento 
	ha tutti i requisiti di eco sostenibilità. Questa è un’iniziativa più che 
	felice da parte del governo, che mette in moto nuove politiche urbanistiche 
	e di trasformazione delle città. Soprattutto per quanto riguarda il 
	patrimonio pubblico, dove ci sono interi quartieri di fatto dimessi o in 
	gravi condizioni di degrado, non solo strutturale e urbanistico ma anche 
	sociale e umano, su cui bisogna intervenire. Una sfida affascinante e una 
	provocazione per la classe politica amministrativa e dirigenziale del Paese, 
	che mi auguro la possa affrontare in modo intelligente e creativo senza 
	farsi soffocare da sterili e inutili opposizioni ideologiche che sono il 
	vero cancro dell’immobilismo italiano. Anche per il patrimonio immobiliare 
	privato questo decreto è uno stimolo importante a investire, mettendo in 
	circolo nuove risorse - che i cittadini non avrebbero investito nel sistema 
	finanziario visto la scarsa fiducia di questo periodo - ma che in questo 
	modo invece può favorire l’attività imprenditoriale delle piccole e medie 
	imprese, che a sua volta porterà all’aumento di consumi in ambiti come 
	l’arredamento, gli elettrodomestici e i complementi d’arredo. A conferma del 
	principio ancor valido che il mattone mette in moto l’economia.
 
 Il terzo tema è il tentativo di introdurre in Italia in modo preciso e 
	radicale un giusto rapporto tra gli operatori privati e la pubblica 
	amministrazione. Un rapporto in cui, definiti in modo semplice e elementare 
	alcuni criteri per gli interventi privati nella riqualificazione immobiliare 
	del patrimonio esistente, sia eliminata quella pletora di procedure, 
	normative e regolamenti pubblici che sono la vera fonte di tanta corruzione 
	e di tanto immobilismo. Valorizzando invece la responsabilità del mondo 
	professionale e dell’imprenditoria italiana che potrà agire sotto 
	autocertificazione. La funzione pubblica non è più quella di "dare il 
	permesso" ad agire, bensì quella di controllare semplicemente che siano 
	seguiti i principi generali indicati dalle norme. Tra privato e pubblico si 
	instaura così un rapporto di fiducia, mentre il principio che vige oggi 
	anche in tante leggi italiane, non ultima quelle in materia fiscale, parte 
	dal presupposto di una disistima nei confronti dei professionisti. La 
	semplificazione burocratica amministrativa e l’assunzione del principio 
	della responsabilità nel sistema professionale e imprenditoriale non possono 
	che non essere viste come un grande passo in avanti culturale ed economico, 
	a dispetto di coloro che credono che la libera iniziativa privata nasconde 
	sempre a priori un dolo.
 
 C’è infine un elemento essenziale che ritorna in più parti in questa azione 
	governativa e che merita attenzione: l’investimento in eco-sostenibilità 
	significa l’abbattimento dei costi energetici nella trasformazione e 
	gestione del patrimonio pubblico e privato, in conformità con le linee guida 
	dell’Unione Europea che alcune regioni come la Lombardia hanno già fatto 
	proprie. Per chi ha a cuore una vera politica ambientale in Italia, questa 
	nuova normativa deve essere sen’altro accolta positivamente.
 
 In tutte queste iniziative possiamo scorgere uno stimolo a una ripresa 
	dell’economia, in particolar modo nei settori dell’edilizia, della 
	progettazione e delle tecnologie. Secondo una prima stima del Cresme 
	pubblicata dal Sole 24 Ore stiamo parlando di un indotto in Italia di 60 
	miliardi di euro all’anno (il 35% dell’intero indotto del settore edilizia). 
	Chi continua a lamentarsi per la grande crisi e non si accorge di questa 
	grande opportunità che il governo ci sta concedendo, o è particolarmente 
	stupido o è in malafede. Personalmente plaudo a questa iniziativa perché è 
	una concreta risposta alla crisi e uno stimolo per il sistema del welfare 
	sociale e all’imprenditoria del settore a riprendersi lasciando per strada 
	perplessità o dubbi. Ci auguriamo che le Regioni e le pubbliche 
	amministrazioni italiane siano all’altezza di questa responsabilità.
 
 
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