22 dicembre 2011
di Paola G. Lunghini
Cari Amici, lettori e navigatori
non ho - come fanno ahimè tanti altri - la presunzione di fare l’
editorialista "politica” ma, giunti alla fine di un anno (un anno?) così
difficile, un Messaggio di Fine Anno si impone.
Nessuna parola, però e da parte mia, sul tema di cui al titolo.
Vi invito dunque solo a riascoltare se vorrete o potrete
(se non avete il CD o il DVD trovate tutto facilmente su internet,
compresi i video su You Tube) quel capolavoro di teatro che si chiama
“E pensare che c’era il pensiero” (1994), scritto da quel genio
assoluto che è stato Giorgio Gaber.
Io possiedo su CD una delle versioni originali dello spettacolo che
allora vidi (come vidi tutti gli spettacoli di Giorgio Gaber, a partire
dai miei giovanili anni all’ allora “ mitico” Teatro Lirico , in via
Larga, a Milano). Attenzione, però, perché Gaber nelle sue performances
cambiava spesso il testo, aggiungendo o cancellando intere frasi.
Nella prima parte, c’è il testo intitolato “La sedia da spostare “.
Contiene alcuni riferimenti che potrebbero essere visti come “profetici”
(ricordatevelo, queste cose Gaber le diceva nel 1994!): ve ne trascrivo
alcune frasi.
“Secondo me
quella sedia lì va spostata….
(etc, Gaber va avanti per qualche minuto, recitando come se
intervenissero molte diverse voci )
Al punto in cui siamo non resta che affidarsi a una figura autorevole e
competente, forse un tecnico. Magari di destra appoggiato dalle
sinistre.
Un tecnico?
No, un tecnico non può garantire la stabilità della sedia e poi
costituisce un'anomalia antidemocratica e anticostituzionale.
Se è così cambiamo la Costituzione.
Non è una cosa che si può fare da un giorno all'altro.
Nel frattempo propongo di indire un referendum.
Non si troveranno mai 500 mila firme per spostare una sedia.
E allora non c'è scelta: elezioni anticipate.
No, le elezioni oggi no. Sarebbe troppo grave per il Paese. Forse
domani.
Rimane il problema urgente della sedia da spostare.
Su questo sono d'accordo. Può essere un punto di incontro.
Parliamone.
Parliamone.
Parliamone.
Parliamone”.
Nella seconda parte dello spettacolo di Gaber c’è “Mi fa male il
mondo” (seconda parte).
E’ un monologo molto lungo, e c’è dentro tutta la “vergogna” (senza
necessità di aggiungere altro) che ha caratterizzato e sempre più
caratterizza questo nostro sciagurato ma stupendo Paese.
Come sostiene un mio caro amico, famosissimo sociologo, noi italiani
siamo un popolo, ma non ancora una Nazione, mentre Francia, UK e
anche Germania - per non parlar degli ancorchè giovanissimi USA- sì.
Nel frattempo, e in modo molto accelerato, abbiamo accolto e stiamo
accogliendo, più o meno “amichevolmente”, altri popoli.
Andiamo, per favore, dice il mio amico sociologo, alle radici dei
nostri problemi. Forse davvero, allora, troveremo le soluzioni.
E allora forse torneremo a splendere (questo lo aggiungo io ).
Tanti Auguri di Buone Feste a TUTTA l’Italia.