Mercato immobiliare: ieri, oggi … e domani?

di Roberto Renzi,  Centrosì srl,  Roma

Nel 2004, a seguito del vertiginoso aumento dei prezzi che faceva pensare a una “bolla” speculativa, mi fu chiesto un articolo, per l’Osservatorio del Mercato Immobiliare di una Federazione sindacale di Agenti Immobiliari, che rispondesse al quesito se vi sarebbe stata una ulteriore crescita dei prezzi o un loro crollo così come era avvenuto dopo il 1992.
Analizzai allora che “la particolare (oggi avrei scritto eccezionale) coincidenza di fattori come la riduzione dei tassi di interesse dei mutui, la disaffezione all’investimento finanziario (erano di quegli anni gli scandali Enron, Cirio e Parmalat), la scarsa remuneratività dei titoli di Stato a fronte degli elevati canoni di locazione, il ritorno di ingenti capitali dall’estero (grazie allo “scudo fiscale”), il bonus sulle ristrutturazioni, le agevolazioni fiscali per l’acquisto e il credito d’imposta sul cambio della prima casa, avevano positivamente (così scrissi allora !) condizionato il mercato immobiliare”.
Notai anche però che “in Italia i prezzi erano cresciuti meno che in altri paesi europei” e che era in corso “la novità della finanziarizzazione del mercato immobiliare (cartolarizzazioni, spin off, fondi immobiliari) che aveva fatto evolvere in Italia il concetto di immobile dall’accezione latina (che non si muove) a quella anglosassone di real estate (patrimonio reale)”.
Conclusi l’articolo prevedendo “una ulteriore crescita del mercato immobiliare, alla luce anche della fortissima propensione da parte delle famiglie – proprietarie del 75 % del patrimonio immobiliare residenziale – al cambio dell’abitazione per soddisfare mutate esigenze orientate al miglioramento della qualità abitativa”.
Le mie previsioni si rivelarono esatte, e il mercato continuò a crescere fino al 2007, sia come prezzi che come numero di compravendite.
Ho voluto riportare quanto scrissi nove anni fa per sottolineare l’eccezionalità dei diversi fattori che portarono i prezzi (e il numero delle compravendite) ai livelli massimi del 2006-2007, con una crescita, a partire dal 1998, durata ben 9 anni, rispetto ai precedenti cicli di crescita di 3 anni (1978-1981) e 5 anni (1987-1992).
Oggi i quesiti si pongono di nuovo in situazione opposta: è finito il crollo dei prezzi e del numero di compravendite o il fondo non è stato ancora toccato? A quando la ripresa del mercato immobiliare?
Stiamo assistendo a una costante diminuzione sia del numero delle compravendite che dei prezzi, dovuta da un lato alla drastica riduzione dei mutui erogati (-50 % nell’ultimo anno) a causa dei vincoli di liquidità imposti alle banche dalla Comunità Europea (Basilea II e III) e alla maggiore attenzione da parte di queste al merito creditizio del richiedente, ma soprattutto all’impossibilità (o paura) all’acquisto motivata dalla crisi economica (disoccupazione e incertezza sul futuro) e dalle recenti politiche di austerità, che hanno portato al crollo del tasso di risparmio e all’aumento delle sofferenze sui mutui in essere; ne è testimone il costante aumento del numero dei cartelli vendesi o affittasi (o anche vendesi/affittasi, a riprova del ripiego nell’affitto quando non si riesce a vendere a cifre ritenute accettabili ovvero, nel caso dei locali commerciali, della scelta di vendere non trovando conduttori).
Alla prova dei fatti non ha avuto eccessivo rilievo l’introduzione dell’IMU, che ha influenzato soprattutto il mercato delle case di vacanza.   Ma è chiaro a tutti che affinché torni fiducia nel mercato immobiliare è assolutamente necessario evitare l’aumento della fiscalità sul comparto.
Chi in questi ultimi anni ha posto in vendita un immobile, ha avuto come riferimento di valore le performances di cinque anni fa, inconsapevole dell’eccezionalità dei fattori che avevano determinato l’eccessiva precedente crescita dei prezzi: i ribassi inseguono – in ritardo – la ridotta disponibilità economica degli acquirenti e, come conseguenza, i tempi di vendita si sono allungati fino a 8-9 mesi con sconti che raggiungono il 15-20% del prezzo inizialmente richiesto; infatti, i proprietari di immobili non hanno ancora la percezione di quanto siano cambiati i tempi e non hanno ancora realizzato che è più saggio incassare oggi il 20/30 % in meno di quanto hanno in testa piuttosto che rischiare una svalutazione peggiore nei prossimi 2-3 anni.
Di certo in Italia, a differenza di altri paesi, non vi è stato un repentino crollo dei prezzi. Il nostro ultimo ciclo positivo partiva con l’handicap della lunga crisi post ’92 e il ciclo negativo che stiamo attraversando si configura più come un assestamento, un atterraggio morbido: analizzando infatti la durata dei precedenti periodi di decrescita abbiamo 4 anni (1981-1985), 6 anni (1992-1998) e, fino ad oggi, ancora 6 anni (2007-2013).
Alla luce di quanto sin qui analizzato, a mio avviso assisteremo a una ulteriore riduzione dei prezzi che si protrarrà presumibilmente ancora per questo anno e per il prossimo, poi seguirà una moderata (a causa del consistente stock di invenduto) ripresa, con il consueto ritardo di 1-2 anni rispetto al ciclo economico generale.  D’altronde abbiamo assistito negli ultimi quaranta anni a un progressivo allungamento della durata dei cicli (fra un picco e l’altro): 6 anni (1975-1981), 11 anni (1981-1992) e 15 anni (1992-2007).
Ci aiuta a non drammatizzare anche la constatazione che il patrimonio residenziale italiano ammonta a quasi 6.400 miliardi, ovvero 4,2 volte il Pil; che il risparmio privato è largamente superiore allo stock del debito pubblico; che i ¾ dei cittadini vivono in una casa di proprietà; che più del 55 % di queste case non è più gravato da un mutuo (anche per questo molti venditori preferiscono/possono aspettare piuttosto che ridurre le loro pretese); e, infine, come riportato dal Rapporto immobiliare sull’andamento del mercato residenziale nel 2012 (Agenzia Entrate/ABI), che tiene l’indice di accessibilità, indice che misura la possibilità di accesso delle famiglie italiane all’acquisto di un’abitazione.
Ma non è solo un problema di prezzi. Da una recente indagine Nomisma, infatti, risulta che l’interesse potenziale all’acquisto è più che doppio rispetto agli attuali livelli di attività, e questo induce a ritenere che è dal settore bancario, prima ancora che dal repricing, che dipende la possibilità del rilancio del mercato immobiliare: in quest’ultimo anno solamente poco più del 5% delle domande presentate si è concretizzata con un mutuo erogato (dato mutui.it).
Negli Stati Uniti la Federal Reserve, con la convinzione che la ripresa del mercato immobiliare fa da volano all’intera economia, è intervenuta per dare sostegno al mercato dei mutui immobiliari, con il risultato che i prezzi e il numero di compravendite, pur rimanendo inferiori ai picchi del 2006, sono sensibilmente aumentati negli ultimi tre anni.  Sarebbe opportuno, quindi, che anche il nostro nuovo governo intervenisse.  Non è coerente, infatti, che le banche possano “giocare” in borsa, con i titoli e i derivati, senza finanziare l’acquisto della casa e il sistema produttivo.  E’ necessario però fare attenzione a non ripetere gli errori del passato: è di fatto andato in crisi il modello (errato) fondato sul debito, sia dei costruttori che si finanziano con l’intervento del sistema bancario (divenendone dipendenti), sia delle famiglie che negli anni passati hanno avuto un fin troppo facile accesso al credito a tassi accattivanti.
Volendo fare previsioni/profezie, non è possibile indicare percentuali di ribasso dei prezzi, essendo questi fortemente influenzati dall’ubicazione, dalle dimensioni e dalla qualità dell’offerta; si può certamente affermare che i prezzi scenderanno ancora nell’hinterland e nelle zone popolari delle grandi città, mentre terranno nelle zone centrali, dove la domanda di immobili di piccolo taglio o di prestigio rimane immutata a fronte di una offerta limitata.
In conclusione, consiglierei, a chi si accinge a vendere, di approcciarsi al mercato con una vera e propria rivoluzione culturale, rinunciando al ricordo dei prezzi del passato, soprattutto se deve riacquistare: correrebbe il rischio di perdere delle occasioni di acquisto irripetibili.  A chi si accinge all’acquisto invece, suggerirei un po’ di calcolato ottimismo: chi ha risparmi può cogliere buone opportunità di acquisto sia per uso diretto che per garantirsi una pensione sicura dal reddito da locazione (le riforme che si sono succedute dal ’95 ad oggi hanno infatti ridotto le pensioni a circa la metà dello stipendio); d’altronde, chi cercasse investimenti finanziari con alti rendimenti, rischierebbe di essere indirizzato su titoli ad alto rischio, gli stessi che dopo il 2007 vennero definiti “tossici” (sembra infatti che le banche d’affari americane, per accontentare tali richieste del mercato, abbiano ripreso imperterrite a fabbricarli).
Quando il mercato ripartirà saranno molto richiesti gli appartamenti di 2 o 3 camere, sia per la riduzione dei componenti dei nuclei familiari (single, genitori separati e anziani che vivono da soli) che per il miglior rapporto costo/reddito: in ogni caso sarà sempre di più la qualità (localizzazione, servizi, efficienza energetica) a fare la differenza.