Milano e Lombardia. Una città, una regione, orgogliose dei loro innumerevoli record, un territorio in continua trasformazione causa inevitabile di squilibri sociali, tra questi la casa. Per offrire un alloggio dignitoso a chi la casa non la può comprare sono stati messi in atto vari provvedimenti, quali il contratto di locazione a canone concordato così definito perché l’importo del canone viene stabilito sulla base di un accordo territoriale tra le associazioni dei proprietari a livello provinciale e i sindacati degli inquilini con il supporto del Comune.
Funzionano? Il punto è stato fatto dalla Regione Lombardia nel corso di un convegno, il 20 giugno, nel quale è stata presentata una ricerca condotta da PoliS-Lombardia insieme al Politecnico di Milano: occasione per riunire attorno al tavolo rappresentanti delle amministrazioni locali, dei proprietari immobiliari, degli inquilini.
Dopo il saluto di Stefano Bolognini, assessore regionale alle Politiche sociali, abitative e disabilità, è stata presentata dal direttore generale Fulvio Matone e Armando De Crinito, direttore scientifico di PoliS-Lombardia la ricerca che illustra le caratteristiche del contratto di locazione a canone concordato, la sua diffusione e le principali caratteristiche e differenze sul territorio lombardo, il confronto con il canone di mercato e le sei agenzie per la casa attive in Lombardia.
La ricerca mette in evidenza che vi è una buona diffusione degli accordi locali per la locazione a canone concordato: nel 44,7% dei Comuni lombardi ne vige uno, percentuale che sale al 98,8% negli enti locali ad alta tensione abitativa. Emerge una forte eterogeneità: si va dalle province di Cremona, Lodi, Pavia e Sondrio, dove meno del 3% dei Comuni ha un accordo, a quelle di Bergamo (23,6%), Varese (18,7%), Milano (42,5%) e Monza e Brianza (36,4%), per arrivare ai territori di Brescia, Como, Lecco e Mantova, nelle quali tutti i Comuni sono interessati da un accordo.
Gabriele Rabaiotti, assessore ai Lavori pubblici e casa, del Comune di Milano, ha rilevato come in Lombardia esista una sottovalutazione degli affitti quale parte del problema casa. Lo scarso numero di alloggi in locazione, che vede il Paese agli ultimi posti in Europa (assieme a Spagna, Portogallo, Grecia) è fattore negativo per una società sempre più mobile, più precaria, più resiliente; ed è insufficiente una risposta intermedia tra libero mercato ed edilizia residenziale pubblica. Milano ne risente in maniera particolare perché l’alto costo degli affitti costringe centinaia di migliaia di persone che qui lavorano ad abitare in altri comuni, causa principe del negativo fenomeno del pendolarismo. Sul canone concordato, il numero relativamente basso dei contratti – 3.000 circa – si spiega con la troppo alta differenza tra i valori di mercato e i limiti imposti ai proprietari i quali non trovano convenienza ad utilizzare maggiormente questa formula.
Quindi l’intervento di Cesare Rosselli, segretario generale di Assoedilizia: una voce importante, quella della più antica e strutturata associazione territoriale di proprietari immobiliari, da essa sono transitati i due terzi dei contratti a canone concordato di Milano: “Uno strumento – ha ricordato – che in base ad una legge del ’98 sostituisce l’equo canone ma al quale non si possono attribuire funzioni che ad esso non competono. Ad esempio, la parte pubblica ha un semplice ruolo di facilitatore per gli accordi locali che vengono fatti dalle rappresentanze dei proprietari e degli inquilini i quali operano sul territorio; gli accordi locali non sono contratti collettivi sindacali e non vanno piegati ad altri scopi. Altri elementi critici per il miglior funzionamento di questa norma sono costituiti dall’eccessiva intervallo tra i loro rinnovi. In una città come Milano, in continuo rapidissimo cambiamento; ci si può attendere da un proprietario un impegno che duri quasi vent’anni (tanto è stato il tempo tra il primo ed il secondo accordo locale milanese) ? Evidentemente no. Infine: ricordiamo che, mediamente, il canone di affitto medio sul libero mercato è di 150 euro/mq: la discrepanza con il canone concordato è, già oggi, troppo alta. Occorre rendere più adeguata l’operatività.”
Mentre per Stefano Chiappelli, segretario generale del Sunia lombardo (sindacato inquilini) “I contratti a canale concordato non sono la soluzione al problema abitativo, ma sono certamente uno strumento valido per risponde alla domanda delle tante famiglie della cosiddetta fascia grigia ‘impoverita’ dalla crisi economica e anche dei tanti studenti universitari che studiano fuori sede. I contratti concordati, infatti, permettono agli inquilini di contenere le spese per l’abitazione che rappresentano, per tantissime famiglie, la quota di gran lunga maggioritaria della spesa mensile. E possono essere anche un mezzo per riportare sul mercato tanti alloggi sfitti privati”
Fonte: Assoedilizia