JESOLO, ANNI CINQUANTA, ANDAVAMO SEMPRE ALL’ HOTEL “CONCORDIA : UN RACCONTO “ AMARCORD” .

di Paola G. Lunghini

Premessa

Da quando avevo poco meno di sei anni e sino a poco prima dei 12,  la mia intera estate si chiamava  Lido di Jesolo.

Era la metà degli anni ’50, “ durò” sino all’ estate del 1960.

Al termine delle scuole, mio padre “parcheggiava”  moglie  e figlie (  me  e mia  sorella, minore di me  di un anno)  all’ Hotel  “Concordia” , un tre stelle  che aveva felicemente aperto poco prima della  nostra  prima  volta,   “ frontemare” , quasi al centro della larga e lunghissima spiaggia  : a conduzione familiare  ( i “ gestori” sarebbero poi in breve divenuti proprietari, nda) , pensione completa, veniva considerato  “un buon albergo” per famiglie. 

La  clientela  era prevalentemente  italiana, ma numerosissimi erano anche  gli ospiti  di lingua  tedesca. Mia  sorella e io, che il tedesco lo parlavamo  avendo vissuto a Francoforte, in Germania, facevamo da “interpreti”  tra i due gruppi di  bambini…

Papà prendeva la miglior accomodation  del Concordia, quella che oggi  si  chiamerebbe  la “suite” :  due  camere da letto comunicanti ,  un lungo  balcone affacciato  sulla  spiaggia  e il BAGNO  PRIVATO !  ( l’ unico  dell’ albergo ,  gli ospiti delle altre  stanze  avevano solo il lavabo, e i bagni erano “  condivisi…” ).

Papà trascorreva con noi le sue ferie, qualche settimana ;  e nei due anni in cui abitammo a  Vicenza, anche  i week end estivi .  Poi, ai primi di settembre ricaricava noi  e i nostri bagagli sulla “ Opel” e poi sulla  “FIAT  1100”,  e ci riportava a casa : all’ inizio in Germania, poi di nuovo a Milano (  dove avevamo vissuto prima della  Germania) ,  poi ancora  a Vicenza.

Quando ci ritrasferimmo a Milano  , Jesolo finì  : l’ estate  successiva ( 1961) fu infatti  volta a favore della  montagna, la vicina Valsassina  : precisamente Barzio, che io  – “ fatta per il mare” –  non potevo soffrire. E l’ auto divenne poi una “FIAT 1500”.

Oggi

Sì, sì, il Concordia c’è ancora; se vai sul sito dell’ albergo ci trovi molte cose, anche storiche. Adesso è  completamente ristrutturato, diverso, ma qualche cosa, ad esempio il concetto del  balcone arrotondato  è  rimasto…

Qualche  anno fa , mio marito doveva recarsi on  business  a Venezia  e Jesolo.

-Alberto, senti, se trovi un attimo di  tempo, vai ti prego a dare un’ occhiata al Concordia, magari c’è ancora  qualche erede della vecchia famiglia proprietaria .

Notizie  precise in merito  a ciò  mio marito non me  ne aveva date  ( in quei pochi minuti  di  visita aveva “ trovato”  solo un’ impiegata ) , ma gli avevano offerto una piccola  pubblicazione celebrativa  dei  60 anni  di attività dell’ albergo.

L’  ho divorata subito :  all’ interno ci sono alcune foto degli anni ‘50 tra cui spicca in particolare  quella di  una signora  che ho riconosciuto immediatamente.  Tedesca , di Berlino,  bella, alta e bionda  Non ne ricordavo il nome : al Concordia la chiamavano tutti “La  Berlinese”…trascorreva  sempre anche lei, con la sua famiglia , un intero mese nel nostro albergo.

Tanto è bastato per scatenare  un’ ondata di  emozioni,  subito condivise con mia  sorella Maria  Pia.

La mail di  Maria  Pia

Paola, Tu non sai quante e quante volte ho pensato e ricordato l’Hotel Concordia chiedendomi se c’era ancora. Proprio recentissimamente ho raccontato alla mia nipotina Sofia l’episodio di quel bambino, Ugo ,che quando era stata fatta con la sabbia  un’ automobile, lui aveva detto « aspettate, manca la benzina » e ci aveva pisciato sopra! E sua madre che lo pestava tutte le sere alla maniera cinese : «non so cosa ha combinato durante il giorno  così lo meno una sola volta per tutte» , un metodo educativo senz’altro sbagliato!!!!!

Poi ho ricordato a Sofia un mio tema svolto in quinta elementare ( tema letto in classe perchè il migliore!!!) il cui titolo diceva : “La prima volta che ho visto il mare”.

Io avevo detto che non ricordavo la prima volta perchè ero molto piccola, ma avevo invece descritto Jesolo d’inverno quando abitando noi a Vicenza eravamo andati a trovare i signori Vida ( i proprietari, ndr) e mi aveva colpita il fatto che non ci fossero sdraio e ombrelloni, la spiaggia era bagnata e deserta, e nell’albergo  tutto era chiuso, le sedie sopra i tavoli, e tutto era così diverso.

Ricordo ancora tanto di quel periodo: Ti ricordi, Paola,  il  Tuo vestitino a righe di tutti i colori e  così vincevi sempre alla ” conta” : «Hai visto mio marito mezzo gobbo e mezzo dritto per le vie della città? Di che colore era il suo vestito da bandito?» ; e se toccava a Te con quella gonna  !!!!! Viola! hai del viola su di te? Sì . No ? quindi tocca a te “stare sotto” !!!

E quando ballavamo di nascosto?

La mamma che beveva quei bicchieroni giganteschi di menta sotto l’ombrellone ! Giocavamo all’impiccato o  “allo stadio di  ZO’ ” in cerchio,  ciascuno con lo zoccolo  :  « Allo stadio di ZO’ si gioca a sassi in man, giochiamo insiem giocherem chi va e chi vien con lo zigo zigo zà!»

Che piacere rivedere l’albergo! E la Berlinese!!!!!!! 

Mamma mia quanti ricordi!

Estati con gli zoccoletti di legno

La famiglia  proprietaria  del  Concordia  era  formata  dal “ signor  Bruno”,  che  sovraintendeva insieme al figlio maggiore all’ intera attività amministrativa,  acquisti  delle derrate  alimentari  compresi.  Luigi era  a capo del Bar. I  due  figli  “intermedi” (non rammento il nome  del  ragazzo…  la ragazza , ricordo  che  era  molto carina,  si  chiamava  “  signorina Lidia”, nda )  servivano in tavola .   E il più piccolo, Loris, che a quell’ epoca  “  andava  ancora  a scuola”,  faceva durante le vacanze  estive  i servizi in spiaggia, e portava  alla  mia mamma i  già citati  bicchieroni di menta.  Il personale  “ esterno “  era  così  ridotto all’ osso  ( il cuoco,  gli sguatteri,   le  cameriere  addette al riassetto delle  camere, e  il bagnino : e probabilmente eran  tutti parenti …)

La madre , “ signora Anna”, sorvegliava la  pulizia  generale  e la importantissima lavanderia ( nella  soffitta c’ era  sempre un ‘ esposizione della  dotazione  di lenzuola, asciugamani  e tovagliati  , messa ad  asciugare…  La mia  mamma  andava su in soffitta quasi tutti i pomeriggi, a  stirare  i nostri vestiti… noi bambine ne avevamo tre, uno metti, uno a lavare, e uno in armadio .

Alla sera calzavamo sandaletti  bianchi, bisognava dare il bianchetto ogni momento, e le calzette corte.

Di costumi da bagno , ne avevamo due, uno addosso e uno ad asciugare.  Ma  avevamo anche uno coloratissimo  accappatoio di spugna, all’ epoca  una  vera  rarità , che  dovevamo sempre  indossare nonostante il gran caldo al termine  del bagno  : alle 11 del mattino, e alle  quattro del pomeriggio.

Ogni anno , appena arrivate,  ci scottavamo  ; e la mamma  ci cospargeva di borotalco.

A  colazione  e a pranzo, era una gonnellina ( o un paio  di braghette ), con una  camiciola.

Per tutta la  giornata  ( tranne che in spiaggia,  si capisce )  erano gli  zoccoletti  di legno,  con un piccolo tacco  e le cinghiette  colorate .

Gli zoccoli  li calzavano tutti,  uomini , donne e bambini .  Era un flusso ininterrotto  di  toc  toc  toc ( «Fate piano con quegli zoccoli,  che  disturbate  i  vicini  !!! » ).

Prima di scendere  a cena, la mamma  impiegava  la maggior parte del tempo a pettinare Pia,  che aveva i capelli  boccolosi e lunghi,  con i quali affascinava i ragazzini della  spiaggia,  che per lei sbavavano tutti .

Il menu al ristorante era sempre lo stesso, pastasciutta ( al pomodoro o al ragù)   o minestrina,  carne o  formaggio,  grandi  insalate  di  lattuga  e pomodori, frutta. Il giovedì  e la domenica,  pasta al forno, pollo arrosto  con le patatine,  dolce. Pesce, mai. Ci serviva in tavola la signorina Lidia .  

Leccavamo  un sacco di ghiaccioli : lampone, limone  o menta che la mamma  “ metteva in conto”  ( quando si doveva  partire,  papà  passava  ore  con il signor Bruno,  a  controllare  gli extra … ) .

Qualche volta alla sera  dopo cena andavamo a passeggio in paese, a prendere  il gelato; e  qualche  volta andavamo  al cinema all’ aperto. Vedemmo una  volta  “ I tre  moschettieri”. Poiché il libro l’ avevo già letto,  passai  tutto il tempo della  proiezione  a  controllare mentalmente la  fedeltà della trama  al testo di Dumas.

Una  volta, presi lezioni di pattinaggio a rotelle, e ci fu poi una  specie  di “ saggio” finale , con tanto di applausi .

Nei  giorni in cui  c’ era  papà,  andavamo ogni anno in gita  a Venezia;  una volta, anche  a Trieste, la città  dove  papà era nato.

Aiutati dai padri, noi bambini costruivamo  in spiaggia le piste per le biglie  ( il bello non era  giocare  con le  biglie,  ma  costruire  la  pista , che poi la gente  che  andava  a camminare  il mattino presto  ce la calpestava).

E io era  bravissima  a fare alti  castelli  “con le  guglie”, premendo tra le dita la sabbia bagnata  e scura.

Sulla  lunga  spiaggia,  c’’ erano  sempre, allora,  le conchiglie… con le  quali decoravo  i castelli…  

Pia giocava  per ore a  “tamburello”; io facevo , vincendole, le gare di nuoto con i maschi  e andavo sott’ acqua, spaventando la mamma  perché non mi vedeva comparire , e facevo le capriole sulla sabbia :  che scottava.  

Il tempo era sempre  bello, tranne  un paio di temporali a fine agosto , e allora  nel giardinetto  che  separava  l’ albergo dalla  “  dependance “  – finita  la pioggia –  uscivano le lumache,  che  crudelmente noi bambini  andavamo a  schiacciare  perché “ rovinavano i fiori” delle  due  piccole  bordure.

Il bagno : la mamma, che non ne era capace,  si immergeva in acqua sino al petto e faceva  finta  di  saper nuotare … La mamma  faceva  anche  le  sabbiature, soffriva  di  reumatismi. 

I primi  anni passava  molto  tempo ad  ascoltare la  radio “  a transistor”,   che papà  le  aveva  portato in regalo da un viaggio  di lavoro  negli Stati Uniti, da tutti invidiata. Peccato che la radio non sempre  funzionasse…

Papà , che in gioventù  era  stato molto sportivo, prendeva al mattino presto il  “moscone”  e remava sino alla Punta Faro. Alla sera, sulla terrazza, con l’ allure  che aveva,  ammaliava  le  signore  ( e la mamma  era  gelosissima).  I grandi ballavano  ( juke – box,  tre dischi  100  lire ,  alla fine  del decennio furoreggiava   “  You are  my  destiny”, cantata  da Paul Anka , all’ epoca  famosissimo ) ;  e noi ragazzini, una miriade, giocavamo a nascondino.

Oltre alla Berlinese , c’ era una coppia di signori  austriaci, che  non avevano figli ma  amavano molto i bambini.  Possedevano un grande  “materasso”,  per  gonfiarlo ci  voleva  una  vita, sul quale  ci arrampicavamo  e facevamo i  tuffi . Ogni anno ci portavano dei regali  (  ricordo una volta , per me,  una  graditissima pistola ad  acqua).

C’ era una signora , mi pare fosse di Treviso,  che  era  la  moglie di un impresario di pompe funebri , e si  cospargeva  di un atroce profumo alla  violetta.

-Come sta, signora ?
-Bene, bene, questo inverno ci sono stati tanti morti …

C’ era la signora  Caterina, bionda, alta  e grossa, che abitava  anche  lei  a Milano.

C’ era una  famiglia triestina,  con due bambini nostri coetanei.  

Oltre al già citato  Ugo, con cui io mi prendevo regolarmente a botte, ricordo un certo Roberto, che era molto carino ma se la tirava dandosi “arie  da grande” .

Il mio ricordo più dolce 

Avevo sette anni e, per quell’ unica estate, venne al Concordia una famiglia del varesotto . Tra i figli,  c’ era  Alberto, che aveva  un anno più  di me. Ci piacevamo molto, stavamo sempre insieme e  senza picchiarci. 

Una sera,  giocando a nascondino, ci rifugiammo insieme  in cima alla scala che portava  alle soffitte,  nel buio . Seduti sui gradini,  in assoluto silenzio per non essere  “trovati” , a un certo punto raccolse  tutto il coraggio che  aveva  e mi passò un braccio  attorno alle spalle; e mi sfiorò la guancia con un bacio.

-Ti voglio tanto bene, ma domani dobbiamo tornare  a casa. Non so se  torneremo l’estate  prossima, non dimenticarti mai di me.

-Promesso.

Fuori, il juke-box  suonava  “  I love  Paris “

-Papà,  cosa  vuol dire  “ Ai  lov peris” ?

-Amo Parigi,  Paola

Deve essere  per  questo motivo  che  io  ho sempre adorato quella  canzone…