di Alessandra Spitz, per l’Ufficio Studi e Ricerche di Puntoeacapo
Il quadriennio Inpgi volge al termine e dunque è tempo di bilanci. A partire dalla grande operazione di vendita degli immobili dell’Inpgi che, a tre anni e mezzo di distanza, dimostra come la posizione critica di Inpgi Futuro abbia purtroppo trovato conferma nei fatti.
La maxi operazione viene approvata dal Cda dell’Istituto nel mese di giugno del 2016 ma con l’opposizione dei rappresentanti di Inpgi Futuro. Carlo Chianura e Paola Cascella, che la giudicano negativa e pericolosa, sia per la sue modalità, sia per le sue prospettive. Tutti gli altri membri del Cda che fanno capo alla maggioranza della lista “L’Inpgi siamo noi” votano sì, compresa la Fnsi, a ennesima prova del collateralismo negativo tra sindacato (di pochi) ed enti (di tutti).
Perchè Inpgi Futuro era contraria al piano?
I motivi erano numerosi ma ci limitiamo a ricordare i principali, che abbiamo espresso in tutte le sedi.
1) È vero che l’Inpgi aveva un patrimonio troppo concentrato sugli immobili (pari al 66% circa), così come è vero che i dicasteri vigilanti avevano ipotizzato (ma non formalizzato) la necessità di scendere entro una quota del 30%.
Ma questa operazione, secondo gli organi vigilanti, si sarebbe potuta diluire in dieci anni, senza inflazionare un mercato immobiliare già depresso e senza creare stress a una massa ingente di inquilini e allo stesso venditore. Invece, dopo avere coperto fittiziamente con le plusvalenze immobiliari il passivo accumulato negli ultimi anni nella gestione previdenziale e assistenziale, la maggioranza dell’Inpgi, che ha sempre ignorato l’allarme dell’opposizione, si è resa conto solo sul filo di lana di essere a corto di liquidità.
Morale: invece di procedere per gradi in dieci anni, l’Inpgi con l’acqua alla gola è stata costretta a scendere a una quota immobiliare entro il 40% in 5 anni e ha dato mandato di vendere il grosso (pari a 450-550 milioni di euro) entro poco più di due anni, cioè entro il 2018. In altre parole, una corsa a fare quattrini liquidi (pena il rischio di mancato pagamento delle prestazioni) e un compito difficile per InvestiRe, la società che gestisce il fondo immobiliare Giovanni Amendola.
2) Agli inquilini venivano concessi solo due mesi di tempo per decidere se acquistare o meno. Subito dopo le case erano offerte senza sconto solo per un mese ai giornalisti Inpgi e ai dipendenti dell’Istituto perché, dopo tre mesi complessivi, le abitazioni rimaste invendute sarebbero state offerte sul libero mercato.
3) La maggioranza dell’Inpgi aveva deciso di fissare uno sconto agli inquilini uguale per tutti, pari al 20%. Inpgi Futuro era invece dell’opinione che prevedere un range più elastico ma anche più ampio di sconti – ad esempio riconoscendo come un valore il numero di anni di anzianità del contratto di affitto – avrebbe potuto facilitare le operazioni di vendita e avrebbe garantito maggiore aderenza alle diverse situazioni abitative e reddituali.
4) Perchè Inpgi Futuro era contraria al piano anche in prospettiva? La risposta è semplice: l’Inpgi aveva bisogno di reperire ogni anno, secondo stime delineate dai tecnici dell’Istituto, oltre 140 milioni di euro liquidi a causa del drammatico sbilancio tra entrate ed uscite. Non a caso il Cda aveva dato mandato a InvestiRe di vendere immobili per un valore di 770 milioni di euro entro cinque anni.
Ma alla fine del quinquennio quasi tutti gli introiti derivanti dalle cessioni immobiliari saranno stati spesi, visto che per sopravvivere l’Inpgi avrà bisogno di liquidità per complessivi 700 milioni di euro nello stesso periodo. In altre parole, l’Istituto avrà bruciato una bella fetta del proprio patrimonio solo per guadagnare tempo e per continuare a esistere.
Ha senso, ci chiedevamo, continuare lungo una strada di dissipazione del patrimonio e di una lenta ma inevitabile agonia?