L’attività d’investimento nel settore immobiliare in Italia ha proseguito il trend di
crescita nel secondo trimestre, confermando l’accenno di ripresa emerso nel primo trimestre. Secondo dati
ancora preliminari elaborati da CBRE, il volume investito nella prima metà dell’anno supera di poco 2 bn di
euro con una crescita del 16% rispetto allo stesso periodo del 2012: il numero di transazioni è aumentato e
la dimensione media si è attestata sul valore di 42 milioni di euro, decisamente superiore ai 20 milioni
registrati nel 2012.
Qualcosa è cambiato, finalmente? Diversi i fattori che hanno contribuito al risultato ma quello che emerge
maggiormente è il ritorno del capitale straniero che, solo nella prima metà dell’anno, ha rappresentato il
62% del totale del capitale investito. Questa percentuale era inferiore al 30% nella media del periodo 2009-
2011 (primo semestre di ogni anno), il culmine della crisi che aveva allontanato gli investitori internazionali
dal nostro Paese. Sono due gli elementi interessanti da rilevare relativamente al capitale straniero investito
in Italia nella prima metà dell’anno: il saldo tra chi ha acquistato e chi ha venduto è positivo per 278 milioni
di euro e la nazionalità e la tipologia degli investitori stranieri interessati al nostro mercato stanno
cambiando. Infatti, risultano “net buyers” nuovi investitori che entrano per la prima volta in Italia (Qatar,
Norvegia, Svezia) e “net sellers” gli Europei (Germania, Francia). Relativamente alla tipologia, invece, i
Fondi Aperti Tedeschi stanno lentamente lasciando il posto a Fondi di Private Equity, Family Office, Privati.
«Non possiamo ancora parlare di una vera ripresa del mercato dei capitali in Italia » commenta
Alessandro Mazzanti, CEO di CBRE Italia ( nella foto). «Basta confrontarci con alcuni mercati fuori dal nostro Paese.
Nel 2012, in Irlanda, ad esempio, l’attività d’investimento ha subìto un’impennata significativa grazie ad un
mix di fattori: le banche irlandesi hanno svalutato gli asset in bilancio, si è verificato un repricing “reale”,
con prezzi in diminuzione, anche del 70% rispetto al picco massimo del mercato, senza dimenticare la
buona qualità degli asset in vendita. Queste sono tutte condizioni che in Italia non si sono ancora avverate
pienamente. Le banche sono ancora rigide su ipotesi di svalutazione degli asset “non performing”; il
repricing, a parte rare operazioni, è ancora limitato e la qualità degli asset in vendita, spesso, non
rispecchia i desiderata degli investitori».
In particolare, confrontando i dati sui valori per uffici “prime” a Dublino, Madrid, Barcellona e Milano,
rispetto all’ultimo trimestre del 2007, ultimo picco massimo del ciclo, non può non sorprendere la differenza
nelle variazioni registrate nel primo trimestre 2013 : Dublino – 76%, Madrid -55%, Barcellona -53% e Milano
-8%.
«Il mercato italiano, che nel corso degli ultimi anni è stato fortemente penalizzato dalla crisi del debito
sovrano, sconta ancora una debolezza strutturale dei player nazionali che, per la stragrande maggioranza,
operano entro i confini nazionali» continua Mazzanti «presentando un’allocazione degli investimenti delle
diverse “asset class subottimali rispetto all’andamento registrato a livello mondiale, troppo sbilanciato cioè
nel settore uffici rispetto a quello dei centri commerciali. Ciò ha determinato nel passato, e continuando
anche nel presente, distorsioni nei prezzi che rendono il mercato meno liquido e dinamico. In sintesi, una ripresa piena del mercato immobiliare passerà non solo da un
miglioramento della situazione macro economica ma anche, in parte,da una svalutazione degli asset non
performing da parte delle banche e da un’ulteriore evoluzione dei maggiori player domestici».
Fonte : Company
Nella foto, Alessandro Mazzanti