Un racconto semiserio di Elisabetta Terzariol , Consigliere AREL-Associazione Real Estate Ladies
Vi voglio raccontare un segreto, ma per favore non ditelo a nessuno.
Sono forse una dei pochissimi che sta apprezzando questa quarantena
forzata. Non lo dico ad alta voce perché una pandemia non è propriamente
un dono del cielo, ma questo soggiorno coatto vorrei non finisse tanto
presto. Io vivo una vita che ha una doppia residenza:
indefessa lavoratrice e milanese imbruttita dal lunedì al venerdì,
provincialotta di campagna durante il weekend.
Dovete sapere che io, come già scrissi diverso tempo fa in altra
pubblicazione ( ECONOMIA IMMOBILIARE, giugno 2012) sono «donna di
nebbia e zanzare». Nata e cresciuta in un piccolo paese della Lomellina,
immerso nelle risaie e lontano dalle principali vie
di comunicazione, sono emigrata a 18 anni nella grande Milano per
frequentare l’università. E nella grande città mi insedio per motivi di
lavoro, che comincia subito in una società immobiliare. L’imprinting è
immediato: il real estate dopo oltre 20 anni è
ancora lì, tatuato sul mio curriculum, a imperitura memoria. Ma il
paesello è sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, gli affetti più
cari sono lì, immersi nel caldo umido d’estate a combattere contro
nugoli di zanzare, immersi nella nebbia e nel freddo
umido d’inverno a combattere contro i reumatismi. Questa cosa
dell’umidità al Creatore deve essere leggermente scappata di mano quando
ha creato la Lomellina!
Comincia così la mia doppia vita: aperitivi stilosi e orari lavorativi
che Stachanov scansati durante la settimana, campagna sperduta di
sabato, domenica e feste comandate.
Ma una domenica sera di fine febbraio del 2020, anno bisesto e quanto
mai funesto, scopro che è cambiato il mondo. È scoppiata un’epidemia
terribile, le cifre dei contagiati e dei decessi si susseguono
spaventose, ci viene imposta la reclusione. Dico ciao ciao
al mio rientro in città e anche alle zucchine appena comprate che ho
lasciato nel frigo della mia casa milanese. Per fortuna Topo, mio
coinquilino e gatto cittadino, è tornato con me al paese.
Inizio così a lavorare da casa ogni giorno. Non è una novità per me, in
azienda dedichiamo allo smart working un giorno a settimana normalmente,
quindi sono preparata. Al posto degli abiti da ufficio torna in auge la
tuta da ginnastica, invece degli aperitivi
scopro che la mia impastatrice, mai usata prima, mi prepara meraviglie.
Passano le settimane, con gli appuntamenti fissi che non sono molto
diversi da quelli del “mondo normale”: il meeting del lunedì mattina, le
lunghe videoconferenze con i colleghi europei, che scoprono in ritardo
che fuori casa c’è una pandemia in corso e sono
più spaventati di noi. Il lavoro continua, il numero dei contagiati
sale, quello dei decessi pure. Una volta alla settimana mi godo quella
che io chiamo “l’ora d’aria”: la spesa al supermercato. Rigorosamente
con mascherina e guanti, rigorosamente in coda
a distanza di sicurezza. Ma scopro che anche così, anche con la
mascherina, si riesce a chiacchierare con i vicini, e la coda passa più
velocemente. Raccolgo informazioni sui malati del paese, sulla mamma del
prete che poverina non ce l’ha fatta, sul mio medico
di famiglia che l’ha preso, il virus, ma ora sta meglio. Al paese non
serve Facebook per farsi gli affari degli altri.
E arrivano le belle giornate e quindi mi siedo, col pc, in giardino. Da
anni non lo faccio, nel weekend di solito ho un sacco di cose da fare.
Scopro un modo lento di vivere, che permette comunque di lavorare a
ritmi serrati ma anche di godere appieno dei momenti
di libertà, per quanto libertà limitata dalle circostanze. Il mio gatto
di città scorrazza felice nell’erba, già soffro al pensiero di
rinchiuderlo nel suo vecchio e limitato mondo.
Nel frattempo Hiroshi, gatto campagnolo, mi mostra la sua insofferenza
nei confronti della convivenza forzata e della condivisione del suo
prezioso territorio facendo i suoi bisogni nelle mie scarpe. Mi ha fatto
capire chiaramente che l’ospite, come il pesce,
dopo tre giorni puzza, figuriamoci dopo due mesi.
Riuscirò a rientrare nella mia casa in città, o le zucchine abbandonate
nel frattempo avranno preso possesso del telecomando e cambiato la
serratura? Alla “fase 2” l’ardua sentenza.
( tratto da Newsletter AREL- Associazione Real Estate Ladies, 4 maggio 2020)