In un’Italia che invecchia progressivamente e sempre più depopolata, gli agenti immobiliari sono chiamati a reinterpretare il loro ruolo e a costruire una diversa relazione con i clienti, basata su fiducia, qualità dei rapporti interpersonali e competenza. E’ questo il messaggio lanciato da AIR Italia, l’Associazione Agenti Immobiliari riuniti, ieri a Roma, in occasione del convegno “ Quale mercato immobiliare in una società in trasformazione”.
L’incontro, organizzato con l’obiettivo di analizzare le macrotendenze socioeconomiche già in atto, ha messo a confronto gli addetti ai lavori con esperti di diversa estrazione, che hanno tracciato il quadro del sistema-Italia di qui al 2050. Un quadro complesso, con alcune variabili chiaramente individuabili, altre decisamente più incerte, ma non meno importanti.
Roberto Renzi, fondatore e past presidente di AIR Italia, ha sottolineato la necessità di un nuovo approccio al mercato. “ In Italia, soltanto il 60% delle compravendite immobiliari è affidata ad un professionista del settore – ha spiegato – a differenza degli altri Paesi industrializzati, in cui si sfiora anche il 99%. Inoltre, il settore è caratterizzato da una forte frammentazione metodologica e organizzativa: si va dal piccolo professionista che lavora da casa alla grande azienda struttura, alle rete organizzate del franchising”. In Italia, operano circa 43mila agenti abilitati, ma soltanto il 43% dei proprietari di casa che si è avvalso della loro opera, secondo dati Nomisma, si dichiara soddisfatto. “E’ vero che viviamo all’epoca del web – ha aggiunto il past presidente di AIR – ma è giusto anche rilevare che esiste un problema di reputazione della categoria, che va affrontato”.
La tendenza al rapporto diretto, legata all’online, e la crisi dei “corpi intermedi” hanno sicuramente contribuito a disincentivare il ricorso all’agente immobiliare, ma sono anche la spia della mancanza di fiducia degli italiani nei confronti della categoria. “E’ proprio in questa direzione che occorre lavorare – ha dichiarato Renzi – recuperando lo spazio di relazione nei confronti del cliente”.
La capacità di costruire relazioni sarà molto importante nell’Italia dei prossimi anni, a causa dei profondi mutamenti demografici, quindi sociali, che ci attendono. La popolazione fa la società, come ha ben sintetizzato Vittorio Filippi, docente di sociologia al master di Psicologia dell’invecchiamento all’Università di Padova. “ L’Italia è in recessione demografica, siamo il Paese più vecchio d’Europa ed il secondo al mondo per anzianità della popolazione – ha chiarito il sociologo -. Lo stesso modello familiare italiano è ‘dimagrito’, ha preso forme deistituzionalizzate, a favore di nuclei familiari monoparentali e unipersonali. Ciò mette a rischio la sostenibilità non soltanto previdenziale ma anche economica del nostro sistema”.
Paese più vecchio e con famiglie ridotte per numero e componenti significa denatalità, riduzione della forza lavoro, spopolamento del territorio. “ Un’Italia più vecchia – è la previsione del sociologo – significa anche meno innovazione, meno crescita, più spese sanitarie”. Qualche numero per capire l’entità del fenomeno: nel 2045 si stima che il 10% degli italiani avrà 85 anni, mentre 6,3 milioni di anziani non saranno autosufficienti ed i costi del welfare potrebbero far crescere il debito pubblico oltre il 140% del Pil. Le cosiddette “vecchie famiglie” rappresenteranno un terzo dell’intera popolazione nazionale.
Tutti indicatori che incidono pesantemente sul mercato immobiliare. Di fronte al crollo del welfare familiare, è molto probabile che aumenterà il cohousing, mentre più problematica appare la domanda residenziale. “ Il mercato della casa – ha commentato Filippi – al netto dei flussi migratori, peraltro ancora incerti, potrebbe crescere grazie alla domanda delle giovani coppie italiane, neoitaliane e straniere. Tuttavia, potrebbe risentire ancor di più del progressivo invecchiamento degli italiani, unito al probabile spopolamento”. Questa dinamica “gonfierà l’offerta di case dismesse ed inutilizzate o, almeno in parte, renderà una parte crescente del patrimonio edilizio inadatto alla generazione del ‘baby boom’, ovvero i nati negli anni ’60, che corrono verso la terza e quarta età, con i relativi problemi della decrescente autosufficienza”.
La tendenza sociale che vede l’Italia depopolarsi e, in parte, invecchiare trova conferme anche nello scenario di mercato disegnato da Alberto M. Lunghini, presidente di Reddy’s Group. Negli ultimi anni, dopo la recessione, si è assistito a una cauta ripresa delle compravendite immobiliari, ben lontana, però, dall’ultimo anno davvero positivo per il settore, il 2007. “I nostri indicatori ci descrivono un’Italia che, nei prossimi decenni, vedrà un calo della popolazione residenziale – ha precisato Lunghini – inoltre, dal ’92 ad oggi il potere reale d’acquisto si è incrementato assai poco. Se a questo aggiungiamo l’invecchiamento della popolazione, è facile prevedere un calo di propensione a nuovi investimenti e quindi una riduzione di domanda per nuovi acquisti di immobili”.
A stimolare la domanda di immobili sono, da sempre, driver precisi, ha osservato l’economista: il numero delle famiglie ed il loro potere d’acquisto reale, il grado di fiducia degli italiani sul futuro, l’imposizione fiscale sulla casa, l’inflazione, la facilità nell’ottenere finanziamenti per la casa e il costo del denaro.
Tuttavia il ciclo immobiliare che si troveranno ad affrontare i professionisti del settore non è dei più semplici, come ha spiegato il presidente del Reddy’s Group, a causa dei mutamenti demografici della popolazione. Già oggi, il 22,8% degli italiani ha un’età dai 65 anni in su, mentre la popolazione da 0 a 14 anni raggiunge il 13,4 %. Il dato più eclatante, però, riguarda le famiglie: nel 1981 il 59,5%, ovvero la maggioranza, era composto da più di due persone. Questa percentuale, nei prossimi anni, si ridurrà al 30%, mentre quelle con un solo componente raggiungeranno il 40%. Inoltre, in un’economia praticamente ferma come quella italiana, gli immobili perdono valore e non sono più un bene-rifugio.
Ecco perché, secondo il presidente di Reddy’s Group, “chi opera nel mercato immobiliare dovrà tenere in considerazione che il suo pubblico di riferimento sarà rappresentato in prevalenza da famiglie con uno o due componenti. Inoltre, l’analisi delle variabili economiche indica che, nel tempo, il potere di acquisto reale di acquirenti o inquilini crescerà di poco”.
Interpretare in maniera nuova la professione diventa dunque una necessità. La chiave è una parola dal sapore antico, ma mai banale: fiducia. Giampietro Vecchiato, docente in Strategie di comunicazione e Relazioni Pubbliche dell’Università degli Studi di Padova , ha ribadito che la capacità di comunicare è importante, ma non basta.
“Gli agenti immobiliari – ha rimarcato – oggi hanno bisogno di lavorare sulla qualità della relazione costruita con i clienti. Per riuscirci, devono però creare un rapporto di fiducia, sapersi guadagnare il rispetto e la considerazione del suo interlocutore. In che modo? Innanzitutto, mettendo a suo agio il cliente, poi fornendo tutte le informazioni utili, in totale trasparenza. La capacità di ascolto e il dialogo con il cliente contano moltissimo”. Oltre al rapporto fiduciario, è centrale la competenza del professionista, che non significa semplicemente far bene il proprio mestiere ma, come precisato da Vecchiato, “conoscere bene tutto ciò che ruota intorno al cliente, come il territorio e la sua storia”.
Fonte : AIR