Una legge che ha dato la giusta rilevanza alla figura dell’amministratore, ma che presenta ancora nodi irrisolti. E’ netto il giudizio dell’ANAMMI, l’Associazione Nazional-europea AMMinistratori d’Immobili, sulla riforma del condominio, entrata ufficialmente in vigore il 18 giugno del 2013. A distanza di dieci anni da quella data, la L. 220 del 2012 presenta alcuni “buchi” che le istituzioni competenti non sono riuscite (o non hanno voluto) colmare.
“La riforma aveva finalmente stabilito che la nostra è una categoria di autentici professionisti – sottolinea Giuseppe Bica, presidente dell’ANAMMI –, chiamata a rispondere a determinati parametri professionali e con competenze tecniche ben precise. Ciò si deve innanzitutto all’impegno di Associazioni storiche come l’ANAMMI, che avevano già introdotto questi criteri al suo interno”.
Tuttavia, restano ancora notevoli problemi, che né la Legge 220, né il DM 140 del 2014, emanato per definire i criteri di formazione degli amministratori, hanno mai risolto. Il primo, più volte lamentato in questi dieci anni di vita della riforma, è la mancata indicazione degli enti che dovrebbero formare in modo adeguato i professionisti, provvedendo sia alla formazione di base sia all’aggiornamento periodico.
“La Legge 220 non ha mai chiarito fino in fondo il punto- ricorda Bica- , accontentandosi di imporre gli obblighi formativi. Anche il successivo stesso Dm 140 del 2014 non ha mai sciolto questo nodo, nonostante i nostri appelli Ministero della Giustizia, al quale, come imposto dalla riforma, comunichiamo le nostre attività formative”. A tutt’oggi, gli amministratori, a norma di legge, devono possedere il diploma di scuola superiore, non avere carichi penali e, per esercitare la professione, aver seguito un corso di base, con l’obbligo di aggiornarsi ogni anno. Ma requisiti stringenti su chi li deve formare, nella normativa di riferimento, non ce ne sono. “In pratica un vero e proprio ‘liberi tutti’, che ha favorito il proliferare di diplomi e corsi falsi, insieme alla moltiplicazione di sigle prive di rappresentanza– stigmatizza Bica – come noi avevamo già preannunciato nel 2013, a svantaggio dei professionisti seri”.
Eppure, oggi all’amministratore, accanto alla gestione dei beni comuni, sono attribuite mansioni come la sicurezza in condominio e la collaborazione con gli enti locali sul decoro cittadino. In Italia, il 70% degli italiani vive in condominio. “L’interrogativo è lo stesso di dieci anni fa – commenta il presidente dell’ANAMMI – chi tutela i condòmini? ”. Tra le bizzarrie del testo, anche la possibilità per il condòmino di amministrare il proprio condominio, ma senza dover ottemperare alle regole sulla formazione e sui requisiti professionali. “Una scelta inspiegabile, che aumenta il rischio di una gestione condominiale improvvisata e pasticciona”, afferma Bica.
La riforma del condominio cita in più parti il dialogo con le istituzioni, che però, in questi dieci anni, non si è mai realizzato. “Basti pensare che inviamo comunicazione delle nostre attività al ministero della Giustizia – afferma il presidente Bica – ricevendo a malapena un avviso di recapito”. La stessa istituzione dell’Elenco delle associazioni non ordinistiche presso il Ministero dell’Industria e del Made in Italy non ha inciso sul sostanziale silenzio delle istituzioni.
“A dieci anni dall’entrata in vigore della riforma – conclude Bica – a nostro avviso è ora di colmare quei ‘buchi’ che danneggiano la nostra professionalità. L’ANAMMI auspica che, a breve, si inauguri una nuova stagione di ascolto e collaborazione con i ministeri competenti, a garanzia degli amministratori e degli stessi condòmini”.
Fonte : ANAMMI