A cura del team VAS Advisory Hub di CBRE Italy
L’Italia, da un punto di vista demografico, è stata principalmente caratterizzata negli ultimi decenni da due trend: l’aumento significativo della speranza di vita (da 81,7 a 83,2 anni di vita tra il 2010 e il 2019) e la riduzione del tasso di natalità. Questi due fattori hanno portato a un inevitabile invecchiamento della popolazione e a una sorta di recessione demografica, frenata solo dai fenomeni di migrazione: tra il 2008 e il 2019, la popolazione totale italiana è aumentata di 1,7 milioni solo grazie alla popolazione straniera.
Tuttavia, l’epidemia Covid-19, che si è scatenata a partire da febbraio 2020, si è diffusa con grande velocità, dapprima nelle regioni del Nord Italia, quindi al Centro e al Sud. Tra le molte conseguenze, di carattere medico, economico e sociale, l’emergenza sanitaria ha portato a un aumento complessivo dei decessi, concentrati in alcune regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, e Trentino Alto-Adige ai primi posti). Tale aumento nei decessi, con pochissimi altri esempi nella storia italiana dal dopoguerra ad oggi, ha colpito specialmente la popolazione di sesso maschile di età compresa tra 70 e 89 anni, impattando l’indicatore della speranza di vita.
Nel panorama internazionale, l’Italia registrava nel 2019 uno dei più alti tassi di longevità nella media UE27 e uno tra i più bassi in termini di fertilità (numero di figli per donna, pari a 1,27), con un Indice di Vecchiaia in linea con quello nipponico: nel 2019 in Italia la popolazione over 65 rappresentava il 22,8% della popolazione, contro il 28,4% del Giappone.
Entro il 2030, ci si attende un’ulteriore crescita nelle categorie over 65 e over 80 in Italia e, più in generale, a livello mondiale e il nostro Paese assisterà a un calo della popolazione dello 0,55% circa.
Le condizioni abitative di questa fascia della popolazione e la connessione con il loro status socioeconomico, la loro salute e il loro benessere rappresentano un elemento cardine anche per l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals SDGs – Nazioni Unite).
Considerando questo contesto demografico, emerge chiaramente il ruolo che avrà nel prossimo futuro il Senior Housing, un segmento di mercato che sta sempre più consolidandosi in Europa e negli Stati Uniti, in risposta alle esigenze di una popolazione sempre più anziana e, tuttavia, spesso in buona salute e con significativa partecipazione sociale.
Che cos’è il Senior Housing? Si tratta di alloggi in affitto per persone indipendenti con un’età superiore ai 65 anni, in cerca di sicurezza, comfort, accessibilità ai servizi (assistenza medica, servizi di pulizia, lavanderia etc.) e attività ricreative. Questi alloggi garantiscono standard di vita più elevati, rispondendo alle necessità di una fascia di popolazione che richiede oggi una qualità di vita nettamente superiore rispetto alle generazioni precedenti.
Secondo gli ultimi dati disponibili (ISTAT 2017), considerando il totale della popolazione anziana italiana ospite di presidi residenziali socioassistenziali e sociosanitari (287.178 persone), circa il 21,2% rappresenta la quota di autosufficienti.
I posti letto per anziani over 65 anni autonomi (livello di assistenza sanitaria assente) in tali presidi rappresentano circa il 5% sul totale posti letto operativi 15.472 su 304.832).
La percentuale di investimenti in questo segmento rispetto al totale del Commercial Real Estate non supera il 2% (escludendo le acquisizioni di sviluppi) e il settore è trainato principalmente da operatori privati.
Ciò nonostante, l’interesse nei confronti di questa asset class sta aumentando e il potenziale di crescita è, ovviamente, molto elevato: se l’1% della popolazione italiana over 65 scegliesse una struttura Senior Housing, la domanda raggiungerebbe la quota di circa 140.000 alloggi.
Un’opportunità di business di certo non indifferente.
Fonti: ISTAT, Nazioni Unite, Eurostat, OECD.