L’Associazione “Ricerca Felicità” rilascia i primi dati sullo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale, fotografando sei obiettivi d’indagine: felicità in generale, solitudine e isolamento, felicità al lavoro, senso di appartenenza, riconoscimento e discriminazione e lavoro e suo significato. La survey ha coinvolto 1.314 persone, suddivise tra lavoratori dipendenti (72,3%) e liberi professionisti (27,7%), suddivisi per sesso con una media ponderata di 42.3% di donne e il 57,7% di uomini, appartenenti alle 4 generazioni (Baby Boomers, Generazione X, Millennials, Generazione Z) in rappresentanza della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro. “Ci siamo focalizzati nell’ambito lavorativo ma di fatto il centro della nostra ricerca è sempre l’individuo. Con questa raccolta di dati non c’è nessuna pretesa di trovare una risposta ma un punto da cui partire per ampliare il dialogo e capire con quali strumenti agire per aumentare il benessere sul lavoro nel nostro Paese. Non consideriamo la felicità un sentimento fugace ma una meta-competenza scientificamente provata che può permettere, attraverso l’inclusività e le ricchezze dei singoli, un nuovo benessere organizzativo” afferma Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità. “I dati mostrano una popolazione mediamente soddisfatta, ma quello su cui va assolutamente puntata l’attenzione è la mancanza di allineamento valoriale tra lavoratori e imprese e la mancanza di orientamento al futuro. Siamo un Paese che dovrà fondare tutto sulla creatività e sulle potenzialità innovative di ripresa per consentire all’Italia, di uscire da questo grave periodo di rallentamento medio dell’Economia. Riteniamo quindi sia fondamentale ascoltare con attenzione i segnali deboli che provengono da questi dati, soprattutto in merito all’importanza di far leva sull’ascolto attivo e attento dei propri collaboratori. Ci sono opportunità incredibili, per la redditività delle imprese e per la loro crescita a livello competitivo in Italia e nel mondo, quando si valorizzano le aspirazioni individuali dei collaboratori e si aiutano a esprimere se stessi sul lavoro.” Emerge che il 16% ritiene che l’affermazione “esprimo le mie emozioni senza essere giudicato” nell’ambiente di lavoro sia assolutamente falsa, mentre quasi il 30% si ritiene poco concorde con l’affermazione “i miei meriti vengono sempre riconosciuti”. Tra i Baby Boomers è significativamente più elevato il peso di coloro che ritengono riconosciuti in modo assolutamente adeguato i loro meriti rispetto alle altre generazioni (31% contro una media di 20/21%). Se si analizza la dimensione felicità in generale e la soddisfazione della vita, emerge che tra i rappresentanti della generazione Z solo il 19% si trova concorde a ritenere che la propria vita sia vicina al proprio ideale, contro il 28% dei Baby Boomers. Anche nella dimensione legata alla solitudine/isolamento si può notare come questi siano maggiormente sentiti dai giovani/giovanissimi rispetto agli adulti, si passa infatti dal 21% fino al 10% (dai più giovani ai più anziani) di coloro che sentono questi problemi e dal 42% al 57% di coloro che non si sentono particolarmente toccati dalla questione.“I dati che riguardano la percezione che ha la generazione Z sulla felicità, ci devono far riflettere perché costituiscono una sorta di monito e di direzione importante da dare agli imprenditori italiani. Ci troviamo di fronte a una generazione che non accetterà di considerarsi “felice” solo per il fatto di avere un lavoro – come pare di leggere dai dati – ma chiede allineamento culturale e sceglierà di lavorare con le aziende che rispettano i propri valori. I disagi esposti devono fungere da monito e riteniamo fondamentale lavorare sulla componente emotiva e sul potenziale che talvolta sembra rimanere inespresso. Crediamo sia importante stimolare i giovani fin dalle scuole primarie alla scoperta dei propri talenti, del proprio purpose e nell’uso del capitale potentissimo che tutti noi abbiamo: l’Immaginazione” afferma Elga Corricelli co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità. “L’immaginazione stimola la curiosità e grazie ad essa si può attuare un gran cambiamento positivo che genera innovazione e oggi, le aziende, chiedono costantemente innovazione e talenti che possano contribuire al cambiamento. Crediamo possano esistere sacche incredibili di capitale creativo e innovativo inespresso da far circolare nelle nostre aziende italiane.”Con la volontà di offrire strumenti al mondo del lavoro per allineare i propri valori con quelli dei propri collaboratori per una crescita corale, la dimensione del lavoro è stata analizzata da diversi punti di vista e si osserva come le frasi “mi fa capire le persone e il mondo che mi circonda” con il 27.9 % e “contribuisce alla mia crescita personale” con il 25,3% siano stati indicati in modo estremamente preponderante da chi ritiene questa affermazione “vera” nel contesto nel suo lavoro, mente le frasi “soddisfa tutti i miei bisogni” con il 27,1% e “ho una carriera piena di significato” con il 24% siano quelle scelte da chi le ritiene “false” ossia per nulla riscontrabili nel proprio ambito lavorativo. Il 15.3% ritiene che l’affermazione “ha un impatto positivo per il mondo” riferita all’azienda in cui lavora sia assolutamente falsa e alla domanda se il proprio lavoro “fa la differenza” solo il 7.6% crede sia assolutamente vero contro il 13.5% assolutamente falso.“Crediamo sia fondamentale, per chi coordina persone, prendere in seria considerazione il soddisfacimento dei bisogni di collaboratori o dipendenti. In ogni azienda ci dovrebbe essere un piano di sviluppo dei bisogni perché il benessere aziendale si traduce in performance migliori. Questa è scienza e una ricerca di Ernst & Young realizzata assieme all’Università di Harvard*, ha dimostrato che le aziende che lavorano perché tutti i propositi siano allineati, rendono agli investitori fino a dieci volte di più” commenta Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità. “Non sottovalutiamo quindi il potenziale inespresso che si otterrebbe aiutando i propri lavoratori ad esprimere emozioni e creatività. Non fermiamoci di fronte alla sensazione di soddisfazione generale che potrebbe essere dettata da rassegnazione piuttosto che da reale felicità. Non sottovalutiamo i segnali deboli che si evincono da lavoratori che si sentono meno soddisfatti, in generale, sul riconoscimento dei loro meriti (media 3,33) o soddisfazione sulle opportunità di carriera dove il 23,7%, la maggior parte dei lavoratori, indica che è soddisfatto pochissimo”.Il primo barometro della Felicità segna, secondo il professore Sandro Formica, Elga Corricelli ed Elisabetta Dallavalle, il punto da cui partire per collaborare con istituzioni, organizzazioni profit, non profit, scuole ed enti educativi e invita a studiare assieme gli strumenti per far evolvere il benessere della società, partendo da aziende e luoghi di lavoro. * THE BUSINESS CASE FOR PURPOSE -Copyright 2015 Harvard Business School PublishingFonte : Associazione Ricerca Felicità |