di Luigi Nassivera, avvocato, Studio Belvedere Inzaghi & Partners – BIP
I (difficili) tempi che stiamo vivendo richiedono una seria riflessione in materia di salvaguardia del settore turistico, vero e proprio asset strategico del nostro Paese e, come tale, capace di avere riflessi importanti sulla crescita economica, sull’occupazione e sullo sviluppo sociale, e certamente uno dei settori che sarà più in sofferenza nel breve e nel lungo periodo.
Diversi sono i provvedimenti in materia messi in campo con il cd. decreto “Rilancio” (decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020): (i) l’allargamento del credito di imposta pari al 60% del canone di locazione (di leasing o di concessione) effettivamente corrisposto per i mesi di marzo, aprile e maggio (erogato senza limiti massimi di ricavi per le strutture alberghiere ed agrituristiche) nel caso di contrazione del fatturato nel mese di riferimento del 50% rispetto allo stesso mese del 2019 (art. 28); (ii) una tax credit vacanze (art. 176), ossia una somma (sino ad un massimo di 500 Euro) erogata alle famiglie con determinati requisiti di reddito e da spendere nelle strutture ricettive nazionali; (iii) l’esenzione per i possessori di immobili classificati nella categoria catastale D/2 e di immobili adibiti ad attività turistiche in genere (agriturismo, villaggi turistici, affittacamere per brevi soggiorni, case e appartamenti per vacanze, bed & breakfast, residence, campeggi, ostelli, stabilimenti balneari e termali, rifugi di montagna, colonie) dal pagamento della prima rata dell’IMU, a condizione che i relativi proprietari siano anche gestori delle attività ivi esercitate (art. 177).
Particolare menzione merita l’istituzione di un fondo finalizzato alla sottoscrizione di quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio e fondi di investimento, gestiti da società di gestione del risparmio, in funzione di acquisto, ristrutturazione e valorizzazione di immobili destinati ad attività turistico-ricettive con una dotazione di 50 milioni di euro per l’anno 2020 e del “Fondo per la promozione del turismo in Italia”, con una dotazione di 20 milioni di euro per l’anno 2020 (artt. 178 e 179).
Tali dotazioni risultano piuttosto modeste e possono rappresentare una valida soluzione solamente nell’ottica emergenziale, tuttavia l’occasione potrebbe essere proficua per individuare degli interventi più strutturali.
In questo senso, a fianco degli indispensabili interventi a livello europeo, ai sensi dell’articolo 195 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (il quale attribuisce alle Istituzioni europee il ruolo di incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri, completandone le rispettive azioni), apposite misure potrebbero essere adottate a livello nazionale dal Fondo Investimenti per il Turismo (FIT) e dal Fondo Turismo 1, partecipati dalla Cassa Depositi e Prestiti.
Essi potranno svolgere un ruolo molto importante, in quanto hanno quale missione la valorizzazione dell’interesse pubblico sotteso alle operazioni tra cui rientra l’acquisizione di immobili ad uso alberghiero (ovvero attività ricettive e ricreative) da società in difficoltà finanziarie, al fine di evitarne l’uscita dal mercato con conseguenti ricadute sull’offerta turistica o l’occupazione o l’indotto.
Da ultimo, occorre fare un’attenta riflessione sul mercato privato delle strutture alberghiere, il quale potrebbe essere minacciato dalle condotte predatorie di alcuni soggetti che vanno al di là delle normali (e perfettamente lecite) logiche di mercato, determinando spesso delle situazioni per le quali le operazioni vengono concluse sfruttando lo stato di bisogno della controparte debole, inducendo vari imprenditori alle prese con innumerevoli difficoltà di finanziamento e di flusso di cassa a cedere i propri immobili per un prezzo decisamente più basso rispetto al reale valore di mercato.
Qualora ciò dovesse accadere, il nostro ordinamento mette a disposizione un rimedio generale previsto nel codice civile: l’art. 1448, dedicato alla rescissione per lesione del contratto, il quale recita “se vi è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l’altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto. L’azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto”.
Si tratta di un rimedio “civilistico” certamente valido ma che richiede ovviamente il vaglio dell’autorità giudiziaria, il che – vista la paralisi attuale dei Tribunali ed i tempi ordinari della giustizia italiana – rischia di essere inadeguato a fornire una risposta idonea al problema, ragion per cui diventa ancora più importante l’adozione dei provvedimenti strutturali meglio descritti sopra.
( si ringrazia per la gentile concessione )