Laura Rocca, Architetto, Socio fondatore della ROCCATELIER ASSOCIATI
Laura Rocca si laurea al Politecnico di Milano e si specializza in restauro presso la KUL di Lovanio in Belgio. Bruno Zevi dedicherà 11 entusiastiche pagine sulla sua rivista alla sua opera prima che poi vincerà il premio internazionale “Dedalo Minosse” nella sezione under 40.
Attualmente opera in quel di Monza con uno sguardo su tutto il mondo e sue opere hanno vinto anche premi internazionali e sono pubblicate sulle maggiori riviste e pubblicazioni nazionali e mondiali
D. Cara Laura, hai dei “modelli” di architetti, chi Ti ha influenzato di più?
R. Più che modelli di architetti parlerei di modi di vedere l’architettura. Quando ero in facoltà, scoprii subito i libri di Bruno Zevi, che chissà perché a Milano erano un po’ all’indice. Cominciai da “Saper vedere l’architettura” e mi si aprì un mondo …non più solo razionalismo e angolo retto ma il mondo degli architetti organici e degli espressionisti: F. L. Wright, K. Haring, Aalto , Johansen, Scharoun ,Erskine…
D. Architettura: quale il rapporto, in particolare, con l’ambiente…
R. L’architettura è spazio. Noi viviamo in tre dimensioni nello spazio e questo spazio può essere interno, esterno, aperto , chiuso concavo convesso . L’architettura dialoga con l’ambiente contribuisce a conformarlo e ne è generata. Per ambiente non intendo solo quello naturale ma anche quello sociale, quello fatto di relazioni umane, della cultura, della storia. L’architettura entra in relazione con tutte queste e anche con la quarta dimensione: il tempo.
D. Edifici “per collettività” (penso alla Cattedrale di Brasilia, ma anche un albergo a sette stelle): c’è una nuova simbologia?
R. L’architettura è frutto della società che la progetta e qualsiasi architettura, specialmente una collettiva ( che sia una scuola o uno spazio commerciale un museo o una casa sociale) è sempre espressione sincera di quella società che l’ha voluta. Le opere “simbolo” sono probabilmente quelle che hanno stimolato maggiormente la società ad interrogarsi su se stessa. Ovvero, nel bene o nel male quegli architetti , attraverso le loro architetture ci fanno discutere su che tipo di vita vogliamo, su che tipo di spazio vogliamo vivere, su quali sono i nostri interessi. Ad esempio il progetto di un centro commerciale ci parla di come siamo abituati a gestire il nostro tempo libero e non solo per fare la spesa, di come ci muoviamo , di cosa ci piace etc… e la sua architettura, il suo spazio se ha ben risposto alle nostre richieste sarà premiato e apprezzato dalla clientela… ma ci dovrebbe essere dell’altro : bisogni, ma anche sogni.
D. Cosa c’è, se c’è, di sbagliato, nell’architettura contemporanea?
R. Credo che ancora oggi molti architetti, inibiti da burocrazia normative e leggi che privilegiano la “quantità” piuttosto che la “ qualità”, rinuncino a pensare che l’architettura ha anche un ruolo sociale. Non si chiedono più chi andrà a vivere nelle loro case o nei loro uffici, si preoccupano solo di rispondere alle esigenze di una committenza non sempre in grado di distinguere “edilizia” da “architettura e così, il paesaggio che ci si costruisce d’attorno perde qualità e umanità.
D. Che tipo di edifici Ti piace più progettare e realizzare?
R. Ogni progetto è una sfida . Ciò che mi piace di più è avere un buon rapporto con il mio committente. Cercare di interpretare al meglio i suoi bisogni traducendoli in spazi sempre unici in cui la gente ami vivere. Il motto alla base del nostro studio è quello del Filarete:” L’architettura per nascere ha bisogno di un padre e una madre: il padre è il committente e la madre è l’architetto”.
D. Quali materiali prediligi, e per che cosa?
R. Ultimamente sto approfondendo la progettazione di edifici in ferro e legno. In Italia non esiste una buona tradizione strutturale in questo senso, ma credo che le nuove esigenze energetiche e normative e la possibilità di prefabbricare in parte il processo producendo edifici che si distinguano da quelli tradizionali ben si sposi con questa tecnologia fatta di pareti sandwich ventilate che si prestano a nuovi modi di immaginare lo spazio.
D. Cosa Ti piacerebbe progettare, tra le tipologie che non hai ancora fatto? Il famoso architetto Mario Botta, ad esempio, mi ha dichiarato qualche anno fa che vorrebbe poter realizzare un Convento…
R. Mi piacerebbe progettare o meglio ripensare gli spazi dei centri commericiali : credo ci sia molto da dire e che le tipologie un po’ americane importate in Italia siano già vecchie.
D. Hai mai realizzato, da designer, oggetti di uso quotidiano?
R. Ho progettato alcune maniglie per una famosa ditta brianzola ma sto aspettando ancora che entrino in produzione.
D. Credo tu possa essere definita architetto-manager, ma un architetto è pur sempre un architetto, anche se è anche manager. Qual’è la tua idea dell’architettura, oggi, qual’è il suo “senso”?
R. Nasco in una famiglia di architetti ma mi rendo conto che il modo di fare la professione oggi è diverso da un tempo. Da una parte bisogna essere sempre in cantiere, ma al tempo stesso bisogna partecipare alle gare, tenersi costantemente informati sulle leggi, sui nuovi materiali , coordinare professionalità diverse, progettare ed essere sempre un passo avanti. Il tutto ti riesce solo se ami l’architettura e il tuo mestiere. Se lo fai bene poi le soddisfazioni arrivano sempre.
D. Che “peso” ha per Te la firma di un grande o noto architetto nel valore commerciale di un edificio?
R. Personalmente credo che, almeno in Italia, quando mancano le idee ci si nasconda un po’ dietro il grande nome. Poi se il progetto fallisce si usa il grande nome come uno scudo dandogli tutte le colpe. Il mercato usa le grandi firme, risolvono problemi che non sono solo urbanistici, ma anche politici…ma penso ci sia spazio per un nuovo e vero made in Italy,
D. In Italia stanno operando moltissimi architetti stranieri, da Foster a Liebeskind, da Tange Jr a Zaha Hadid. Stanno facendo di tutto: masterplan, nuovi city quarter, alberghi… Che spazio dovrebbero, allora, conquistare gli architetti italiani?
R. In realtà i grandi nomi stanno firmando un sacco di schizzi- progetti preliminari che poi sono le società di engeenering italiane che realizzano. In queste società lavorano tanti ottimi laureati in ingegneria ed architettura italiani che non potranno mai dire la loro. Nel frattempo i nostri ordini professionali, che nell’europa del nord sono libere associazioni , appoggiano leggi sulla “qualità” che di “qualità” hanno solo il nome . Purtroppo un italiano se vuole essere apprezzato in Italia deve prima diventare famoso all’estero e poi finalmente lo chiameranno come una grande star. Non è successo forse così anche per Piano o Fuksas ?
D. L’architetto sembra aver assunto, da noi, il ruolo di opinion maker, e non solo di opinion leader. Si organizzano dibatti, conferenze dedicate non solo ai temi dell’architettura, ma anche ad altro, e l’architetto è sempre più presente, sempre più invitato, sempre più intervistato. Che ne pensi di questo atteggiamento, che molti definiscono eccesso di “protagonismo” , per uno che fa il Tuo mestiere?
R. Se si parla di architettura penso sia meglio che ne parlino gli architetti e non presunti critici d’arte e o esperti di gossip. Più si parla di architettura nel modo corretto e più si fa cultura architettonica meglio sarà per noi architetti e per i cittadini italiani che saranno in grado di giudicare in modo migliore gli interventi degli amministratori o degli investitori nelle nostre città e magari faranno scelte più consapevoli sul mondo che vogliamo.
D. Grattacieli o non grattacieli: qual’è il Tuo parere?
R. Non credo che dipenda da una scelta tipologica il successo o meno di un intervento. Mi viene in mente quando recentemente sono stata a Barcellona a visitare la nuova zona del forum. Qui hanno costruito molti grattacieli in riva al mare. Tutto bellissimo: non solo per i grattacieli ma grazie al fatto che c’era un piano urbanistico intelligente per cui tutte le costruzioni erano ad una notevole distanza dal mare e circondate da parchi pubblici immensi e bellissimi da cui si apprezzavano anche questi enormi edifici che ritrovavano qui una loro scala. Il tutto è un susseguirsi di spazi diversi progettati da architetti e artisti, pieni di sculture, con spazi per i bambini tutti personalizzati e…. terminati PRIMA DI COSTRUIRE I GRATTACIELI…. così chi ci andava ad abitare o comprava un ufficio sapeva già cosa trovava e non doveva aspettare anni che costruissero il metrò o il parco o la zona commerciale o la scuola.