di Francesco Tedesco (*)
Non solo masse di giovani studenti manifestano sempre più vistosamente la propria angoscia sul tema dei cambiamenti climatici, ma ora anche l’industria del Real Estate incomincia a prendere maggiore consapevolezza dei rischi connessi all’aumento della temperatura media del pianeta.
Forse non si vede ancora l’innalzamento del livello dei mari, ma il fenomeno viene ormai dato per certo e nei prossimi decenni a causa delle temperature più elevate è ormai chiaro che si intensificheranno in tutto il mondo eventi climatici sempre più estremi come temporali, alluvioni, uragani, smottamenti, incendi, ondate di calore, siccità, eccetera. È possibile dunque conoscere quali saranno gli impatti e i rischi per l’industria del Real Estate?
Studi completi per rispondere a questa domanda non esistono ancora, ma di certo è bene incominciare a interrogarsi su queste questioni. Ecco dunque che il tema è stato recentemente al centro di un incontro organizzato a Milano da ULI Italia ( capitolo italiano dell’ associazione internazionale Urban Land Institute ) : un “breakfast meeting” nella prima mattina del 15 maggio -quando si è belli svegli- per dibattere e presentare alcuni dati dell’ultimo Rapporto “Climate Risks and Real Estate Investment Decision Making”, sviluppato da ULI in collaborazione con Heitman (*).
Una quarantina i soci ULI presenti all’incontro e desiderosi di capire meglio quali siano le pratiche per identificare i rischi connessi al “Climate Change”, e possibilmente mitigarli.
Davide Albertini Petroni, Chair di ULI Italia, ha aperto i lavori dicendosi molto felice di poter promuovere all’interno di ULI una discussione tra investitori istituzionali, operatori e società di gestione del risparmio su un tema così importante.
«Sono anni che l’industria fa un percorso sul tema del risparmio energetico e della sostenibilità» ha affermato Lisette van Doorn, CEO di ULI Europe «ora è venuto il momento di unire questo percorso di sostenibilità al problema dei cambiamenti climatici. Sono sempre più numerosi, infatti, i soci ULI e i professionisti del Real Estate in genere che riscontrano gli impatti del “Climate Change” sul proprio business . Secondo il nostro Rapporto ben il 50% degli intervistati hanno dichiarato di aver già riscontrato alcuni impatti: da un maggiore sconto per vendere o affittare edifici che hanno classi energetiche alte, a una riduzione del valore di quegli edifici che ricadono in aree fortemente soggette a eventi climatici estremi. O ancora, maggiori costi per l’introduzione di tecnologie e opere di prevenzione dei rischi climatici su nuovi edifici, o forti aumenti dei premi assicurativi in seguito al verificarsi di eventi climatici particolarmente intensi e a volte anche devastanti».
ULI prevede che le implicazioni per i Real Estate porfolios saranno sempre più importanti in futuro, tanto che alcuni investitori e gestori incominciano già oggi a considerare l’introduzione di nuove misure di adattamento per proteggere i propri investimenti.
Secondo la Ricerca di ULI/Heitman oggi solo il 10% degli intervistati dichiara di realizzare opere per limitare gli impatti di eventi climatici avversi sugli asset e portafogli immobiliari, ma la percentuale è tuttavia in crescita.
«Sicuramente l’industria del Real Estate è oggi più consapevole e sta incominciando a muoversi in questa direzione, esattamente come 10-15 anni fa quando si è incominciato a parlare di sostenibilità per la prima volta» ha spiegato Lisette van Doorn. «Dobbiamo incominciare a pensare che occorre trovare nuove soluzioni per il futuro. Dobbiamo quindi incominciare a concentrarci su tre aspetti fondamentali: immagazzinare dati per poter prendere un domani le decisioni giuste, lavorare in maniera sempre più stretta e sinergica con il mondo delle Assicurazioni, e con le Istituzioni di governo del territorio».
ULI si aspetta che l’industria assicurativa legata all’immobiliare andrà incontro ad un “massive change”: i rischi connessi ai cambiamenti climatici possono essere altissimi ed esiste il pericolo che in certe zone i premi assicurativi calcolati con le attuali metodologie potranno diventare talmente alti da risultare insostenibili per gli investitori. Già oggi si osserva che una zona soggetta a eventi climatici estremi può andare incontro a una riduzione dei valori immobiliari in loco, con premi assicurativi più alti per gli edifici, maggiore obsolescenza del prodotto immobiliare, maggiori spese di costruzione/ricostruzione, e quindi in generale minore liquidità e perdita di valore per gli investitori che hanno asset in quel territorio.
«Oggi anche i rischi dovuti ai cambiamenti climatici si aggiungono a tutti gli altri rischi di cui l’industria del Real Estate deve tener conto» ha osservato Brian Klinksiek, Direttore Strategy and Research di Heitman. «Non dimentichiamo che moltissime delle maggiori città nel mondo si trovano vicino al mare proprio perchè in origine erano dei porti, come ad esempio Londra, Sydney, Hong Kong, New York e moltissime altre. Alcuni primi studi sugli impatti dell’aumento del livello dei mari incominciano a circolare e cercano di stimare i costi economici necessari per mettere in sicurezza le città che si affacciano sul mare. Secondo uno Studio della Rutgers University (New Jersey, USA, ndr )» ha continuato Klinksiek «per mettere in sicurezza la sola città di New York servirebbero circa 120 miliardi di dollari. Se non si facesse nulla, invece, l’impatto economico che l’innalzamento del livello dei mari avrebbe sugli immobili e sulle infrastrutture della City sarebbero pari a 170 miliardi di dollari». Cifre da mal di testa.
Secondo altri Studi citati dall’esperto di Heitman, l’impatto di altre calamità naturali come uragani e cicloni negli USA non sarebbero da meno: si stima infatti che a distanza di due anni dal verificarsi dell’evento climatico avverso gli immobili colpiti abbiano perso mediamente il 10% del proprio valore iniziale.
In genere si ha un ciclo abbastanza conosciuto: in seguito alla calamità si verifica un danno fisico, aumentano quindi i premi di assicurazione, si sostengono dei costi per ristrutturare e ammodernare gli asset, la società accusa un danno economico e dispone di minore liquidità, eventualmente valuta se abbandonare la location a rischio di uragani, alluvioni, incendi, eccetera.
Ma è possibile conoscere già oggi quali saranno i rischi per un area specifica? Per l’Italia ad esempio? Questi rischi saranno così alti da far diminuire gli investimenti in quell’aria?
Rispondere a questi interrogativi è oggi ancora difficile: per stimare quali saranno le zone con i maggiori impatti climatici e anticipare oggi quello che succederà tra venti o trent’anni occorrerebbe prima di tutto avere enormi moli di dati su quello che sta accadendo fisicamente nel mondo. Il “reporting” è quindi fondamentale, così come incominciare a prendere coscienza del fatto che i cambiamenti climatici cambieranno il nostro sistema economico sempre più fortemente nei prossimi decenni. Riconoscere il problema è il primo passo per affrontarlo.
«Today to be green is not enough» ha riassunto efficacemente Jacopo della Fontana, CEO di D2U-Design to Users «ma ci sono altre cose che possiamo fare per mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle nostre vite, sul nostro lavoro, e sui nostri investimenti: una volta creata la consapevolezza si può passare all’azione e alla collaborazione per limitare i danni».
«L’Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo esposti ai rischi climatici perché ha un enorme patrimonio artistico e architettonico da conservare, da una parte, e rischi climatici relativamente alti dall’altra», ha osservato Jacopo della Fontana. Lo vediamo sempre meglio di anno in anno, con eventi climatici sempre più frequenti e sempre più estremi, per non parlare di temperature stagionali alquanto bizzarre.
«È vero che gli impatti sono dovuti a fenomeni globali, ma le infrastrutture deboli si dovrebbero sistemare a livello locale prima che gli impatti si verifichino: non diamo quindi la colpa agli altri, ma rimbocchiamoci le maniche e guardiamo ciò che possiamo fare a casa nostra per agire fin da subito».
E il primo passo -come ricordato- consiste proprio nell’aumentare la consapevolezza su questi temi. Ecco dunque due letture che possono essere sicuramente utili per capire maggiormente i rischi presenti sul territorio italiano: “Il rischio climatico per la finanza italiana”, recente Rapporto dell’Osservatorio Italiano sulla Finanza Sostenibile della Banca d’Italia; e “La mappa dei rischi naturali dei Comuni italiani dell’ISTAT” (**).
Insomma, prevenire è meglio che curare. Ovvio, ma in questo caso iniziare a informarsi è ancora meglio. Parola di ULI.
(*) Heitman è una “global real estate investment management firm” con circa 43 miliardi di dollari di assets under management. Fondata nel 1966, Heitman ha oggi 10 uffici nel mondo.
(**) https://www.istat.it/it/mappa-rischi
(***) Francesco Tedesco, collaboratore di www.internews.biz e di ECONOMIA IMMOBILIARE, è ingegnere ambientale esperto in energie rinnovabili e giornalista pubblicista