di Alberto M. Lunghini, Presidente di Reddy’s Group
In un Paese ove si registrano cali di PIL e di competitività, aumenti di disoccupazione e di sfiducia/preoccupazione dei cittadini circa il futuro si dovrebbe iniziare a parlare di come ridurre i costi dei beni di consumo e non di aumenti salariali.
Molti erroneamente sostengono che per dare più danari ai cittadini, affinchè costoro (nel prossimo futuro) spendano di più (di ora) “facendo così ripartire l’economia”, occorre ridurre il prelievo fiscale e previdenziale dal costo totale aziendale dei dipendenti (“così a parità di costo aziendale il dipendente avrà in tasca ogni fine mese uno stipendio netto più elevato di ora e potrà così spendere di più di ora”).
Ma questi “molti” si dimenticano che:
– le aziende non possono più sostenere i costi attuali dei dipendenti. Costi aziendali che dovrebbero quindi diminuire e non rimanere stabili rispetto a ora,
– lo Stato nel suo complesso (compreso il settore previdenziale) non può permettersi di ridurre i propri incassi (generati dalle imposte, dai contributi, etc.). E ciò almeno sino a quando lo Stato non deciderà di usare il machete e non un piccolo bisturi (come fatto sino a ora) per ridurre le spese pubbliche.
Poiché qualsiasi Governo non vorrà perdere il consenso per eccessivo rigore (non si deve dimenticare che in tutto il mondo nel passato anche non lontano i ministri delle Finanze, se troppo solerti nel tagliare spese pubbliche e privilegi di una casta, sono stati quasi tutti o licenziati dopo breve termine o persino uccisi), la riduzione della spesa pubblica – se vi sarà – sarà lenta e graduale/diluita nel tempo. Sarà cioè un’azione incapace – se isolata – di risolvere il problema della ripresa di questo Paese.
Se non si possono
– aumentare i costi aziendali (senza uccidere le aziende)
– diminuire le imposte,
ma se si vogliono aumentare i danari in tasca ai cittadini (cioè i danari che i cittadini possono spendere per comperare beni e servizi) e se contemporaneamente si vuole incrementare il potere di acquisto del cittadino medio e quindi il benessere generale, allora non resta che ridurre (rispetto ai costi di oggi) il costo almeno di una parte dei beni e dei servizi che i cittadini devono acquistare.
Perché in Germania, nonostante i salari/stipendi siano mediamente più elevati rispetto alla realtà italiana, le case costano mediamente meno che in Italia?
Eccetto Monaco di Baviera e Amburgo, ove vi sono prezzi di immobili simili ai prezzi di Milano e di Roma, in tutte le altre città tedesche (compresa la capitale Berlino) i prezzi di compravendita e i canoni di locazione sono inferiori ai prezzi italiani.
Eccetto la zona di Parigi e dintorni in tutta la Francia i prezzi degli edifici e dei terreni sono inferiori ai prezzi italiani.
Eccetto la zona di Londra e dintorni in tutta la Gran Bretagna i prezzi degli edifici e dei terreni sono inferiori ai prezzi italiani.
Della Spagna, del Portogallo e della Grecia è inutile qui parlare. L’Italia presenta sempre prezzi immobiliari e canoni di locazione superiori a quelli di questi Paesi.
La ricchezza totale media in immobili delle famiglie italiane sfiora i 6.000 miliardi di euro, nonostante la diminuzione degli ultimi 5 anni. E’ la ricchezza immobiliare pro capite più importante in Europa. Una ricchezza (sulla carta, anche se concentrata in terreni ed edifici) spesso difficilmente trasformabile in danaro (perché non vi è compratore al prezzo voluto dal venditore), ma che è pari a circa 3 volte il debito pubblico italiano.
Se l’Italia ha deciso di restare nell’Euro e in Europa, non è possibile che il Paese recuperi competitività tramite la stampa di nuova moneta, il deprezzamento (relativo) della nostra moneta e una grande inflazione.
Se quindi non vi sarà più per molto tempo una grande inflazione, non è più necessario che gli italiani proteggano i loro risparmi comperando immobili e divenendo proprietari di casa.
Senza una prospettiva di grande inflazione i prezzi immobiliari non cresceranno più come nel passato e quindi l’investimento immobiliare diviene meno fondamentale.
La prima casa per chi ha una età media e figli è in ogni caso un saggio investimento.
La casa da investimento invece (oltre la prima casa) sarà sempre più un prodotto finanziario, cioè un investimento diretto per investitori istituzionali e un investimento indiretto per i privati.
Deve ritornare la locazione con canoni inferiori ai canoni attuali.
Anche le tecnologie delle costruzioni devono evolversi e i costi di costruzione devono scendere. Scendere sino a 800-900 euro/mq. per edifici finiti e completi di impianti evoluti.
Nella periferia del Comune di Milano ad esempio si dovranno vedere prezzi di vendita pari a 1.600 euro/mq e non più pari a 2.400 euro/mq.
Così con canoni di locazione e rate mensili di mutui immobiliari inferiori di un terzo rispetto ai valori di oggi gli italiani potranno ricominciare a spendere in altri beni e servizi facendo così ripartire la fiducia e l’economia in Italia. E ciò indipendentemente dal Governo che l’Italia potrà avere nei prossimi anni.