Milano si conferma (anche) la capitale immobiliare d’Italia. Dal 2010 al 2017 vi sono affluiti 16 miliardi di euro di investimenti, pari al 41% di tutti gli investimenti effettuati in Italia nello stesso periodo. A capo della classifica gli uffici, 60%, mentre alle abitazioni è andato solo il 20% (la rimanenza in retail e nel ricettivo). A conferma della diffidenza degli investitori ad intervenire sugli immobili destinati alla locazione la quale, a causa soprattutto di un punitivo regime fiscale e giuridico, non garantisce ritorni adeguati.
E’ uno dei dati più interessanti emersi nel dibattito a RE Italy, la convention organizzata il 5 e 6 giugno da Monitorimmobiliare a Milano, giunta alla settima edizione. La sessione dedicata al mercato milanese ha visto gli interventi di Vincenzo Albanese (Ceo Sigest); Attilio Di Cunto (ad EuroMilano); Carlo Masseroli (già assessore al Comune di Milano e oggi direttore generale di MilanoSesto); Filippo Cartareggia (ad Residenze Porta Nuova); Mario Breglia (presidente di Scenari Immobiliari); e Armando Borghi (ad di Citylife).
Uffici sugli scudi, quindi, ma, i cui prezzi aumentati del 50-60% in meno di tre anni, fanno intravvedere un fine corsa.
Per l’immobiliare milanese restano comunque buone prospettive con 40 grandi interventi edilizi per oltre 20 miliardi di euro su 12 milioni di mq, metà dei quali destinati al residenziale (per citare, Roma ha in corso 15 grandi interventi per 8 miliardi, Firenze 6 per 1,3 miliardi).
Grava su tutto una certa difficoltà di assorbimento della nuova produzione condizionata dalle zone nelle quali viene realizzata: ad esempio, se entro la cerchia filoviaria della linea 90-91 si vende anche prima del completamento, oltre il mercato è più difficile. Un mercato che dovrebbe rivolgersi – considerato che il settore lusso interessa non più del 5% degli acquirenti – alla fascia media con possibilità di spesa attorno ai 4.000 euro al mq.
Inevitabile il riferimento alla riqualificazione urbana, con un richiamo preciso: nessuna operazione immobiliare porta a questo risultato se non viene effettuata in una “operazione di sistema” che deve vedere la partecipazione in primis della pubblica amministrazione ma anche di un complesso di operatori in grado di evitare che si realizzino le ennesime “cattedrali nel deserto”.