Le aziende della ristorazione commerciale operanti in Italia che perseguono strategie di premiumization ottengono i migliori risultati economico-finanziari e di gradimento del pubblico. Gettando un ponte fra mercato di lusso e di massa, queste aziende offrono beni e servizi presentati come riservati a nicchie di intenditori, ma in realtà destinati a quante più persone possibile. Così facendo, distinguono la loro offerta da quella dei concorrenti. Lo evidenzia la ricerca Essere premium nel consumer food service, condotta da Guia Beatrice Pirotti, Professor di SDA Bocconi School of Management, e presentata oggi durante l’evento “Food retail & ristorazione commerciale: essere casual, essere premium”.
La premiumization, intesa come capacità di offrire prodotti d’eccellenza a prezzi accessibili, risponde alle esigenze dei consumatori aspirazionali, una classe che basa il proprio status su consumi ricercati e consapevoli. Nell’ambito del consumer food service è nata così una categoria intermedia tra fast food e fine dining che sta crescendo a ritmi sostenuti. “Il fenomeno sta esplodendo anche in Italia ed è in continua crescita”, spiega Pirotti.
Una volta individuate le aziende interessate dalla crescita e quelle che invece non hanno performato altrettanto bene, i ricercatori ne hanno studiato le scelte manageriali, scoprendo che quelle che ottengono i migliori risultati sono le più attente ad aggiungere un contenuto premium ai prodotti e individuando i cinque pilastri fondamentali della premiumization del settore.
• Valorizzazione degli ingredienti. La premiumization si raggiunge certificando le materie prime e arrivando a “firmare” gli ingredienti come griffe di moda, come fa Panino Giusto con il progetto di “certificazione” dei Panini Italiani autentici. “Essere focalizzati su un determinato prodotto aiuta”, spiega Pirotti, “così come offrire un menu che cambia e che diverte il consumatore”. La Piadineria offre la possibilità di scegliere impasto, forma e ricetta, Alice Pizza offre oltre 60 gusti diversi, che cambiano in base alla stagione.
• Il servizio non è meno importante. Le aziende migliori curano anche i momenti del pre (l’app di Ham Holy Burger) e del post consumo e sono in grado di traslare il servizio altrove, dai supermercati agli aeroporti (come fa Sushi Daily). Anche la disponibilità di marchi diversi, che accompagnino ogni occasione d’uso, rientra in questa strategia (lo fanno Roadhouse e la Bottega del Caffè).
• Esperienzialità. Utile per coinvolgere il consumatore risulta l’inserimento della cucina o addirittura della produzione a vista (Miscusi ha un mulino all’interno dei ristoranti) e la capacità di trasformare il consumo in un processo di scoperta o di legarsi a un tema divertente (Old Wild West).
• Artigianalità standardizzata. L’investimento nella formazione, con la creazione di accademie interne al fine di trasformare i collaboratori in artigiani, si è rivelata una strategia vincente per riuscire a realizzare un prodotto quanto più artigianale, seppur in un sistema di offerta che punta ad essere scalabile. È quel che fanno Alice Pizza, Sushi Daily e Panino Giusto.
• Comunicazione: il consumattore. “Il cliente è sempre più coinvolto nel processo di comunicazione. Non è più consumatore, ma ‘consumattore’ che esprime pareri sui prodotti ed è considerato dall’azienda un vero e proprio intenditore”, dice Pirotti. E’ la strategia di Briscola Pizza che ha creato “la confraternita della pizza”.