di Paola G. Lunghini.
Il 27 gennaio 2014 , in occasione della “ Giornata della memoria”, pubblicavo qui In Primo Piano un testo a mia firma, intitolato “ In memoriam”.
Nei giorni seguenti a quella pubblicazione ricevetti alcune migliaia di mail commosse , talmente tante da non credere. Commosse tanto quanto me allorchè avevo scritto il pezzo, e a volte addirittura di più. Alcune anche drammatiche. Ricevetti anche molte telefonate di amici e di “ ignoti” lettori che mentre parlavamo piangevano. Le più belle, tra le tante testimonianze ricevute , le ho stampate e le ho raccolte in un dossier che tengo tra le cose preziose della mia vita di scrittore .
Ripostai il 27 gennaio 2016, identico, il pezzo a mia firma. Altro “ diluvio” di messaggi.
Il 27 gennaio 2017 ricorre di nuovo la “ Giornata della memoria” .
E allora io ripropongo qui ancora il pezzo a mia firma . Perché non si può e non si deve dimenticare Auschwitz . MAI. Qualsiasi siano le atrocità con le quali ci dobbiamo confrontare oggi , in questo nostro mondo che non ancora imparato cosa vuol dire vivere in maniera non dico pacifica ma almeno civile . E che sembra sempre più disimparare , ogni anno che passa .
27 gennaio
Oggi è la “ Giornata della Memoria”.
Vorrei, con assoluta modestia, portare la mia testimonianza.
Nel giugno del 2008 eravamo in Polonia – e precisamente a Cracovia – per la Conference annuale di ERES-European Real Estate Society . Io facevo parte del Board dell’ Associazione, dopo essere stata di ERES Presidente nel 2005/2006, ergo dovevo esserci.
E poi Cracovia molto mi attirava .
Tre giorni di lavori intensi nella locale Università politecnica, ma anche qualche spazio per visitare la bellissima città.
Alla sera, dopo gli eventi sociali del Programma della Conference, momenti allegri in compagnia degli amici : serate che immancabilmente si concludevano con lunghissime bevute di birra in qualche bar all’ aperto tra le centinaia che ci sono in estate a Cracovia nella immensa piazza centrale della città : affollata di migliaia e migliaia di persone, in prevalenza giovani, e complice un tempo ben più che estivo e addirittura troppo caldo.
Io, molto più anziana della media degli amici, volentieri mi “ assoggettavo” alle loro performance , bevendo qualche bicchiere di vino bianco, e lasciandoli poi lì per tornare non troppo tardi al mio albergo, che per fortuna era round the corner .
-Vai domani ad Auschwitz ? ( era questa una delle “ visite” che gli organizzatori avevano programmato al termine della Conference).
-No, no. Non l’ ho prenotata. Non ce la faccio, troppo triste, troppo dolore. Farò un giro in taxi nel “ quartiere operaio” della periferia di Cracovia , quello costruito in epoca Stalin. Mi interessa molto.
La notte non fu serena ( ma Santo Iddio, sei qui, a 60 chilometri da Auschwitz, quando mai tornerai a Cracovia, e ad Auschwitz non hai il coraggio di andarci ? Paola, ma che razza di carattere hai? Paola, smettila, vacci, vacci, VACCI, VACCIIIII !!! ).
Al mattino presto ero davanti all’ Università, alla partenza del pullman per Auschwitz. Posso comperare ancora un ticket? Yes, you can, some places left.
Eravamo una quarantina di amici, a bordo del pullmann. L’ atmosfera era piacevole, ci scambiavamo real estate chats e simpatici comuni ricordi di passati congressi. Le due ore che il viaggio richiedeva ( ok, circa 60 chilometri, ma una strada di quelle che vi raccomando…) passarono in fretta. Poi arrivammo al parcheggio dei pullmann e poi di lì attraversammo il famoso cancello, con la famosa scritta.
La prima sensazione fu di stupore : come è piccolo, il cancello, misura solo qualche metro …
Ci accompagnava una ragazza giovane e molto carina – una delle Guide autorizzate. Parlava un inglese perfetto e melodioso e ci condusse, sempre con quell’ inglese melodioso, in un percorso degli orrori che durò chilometri e ore.
Visitammo tutto il visitabile – molti di noi non riuscivano a trattenere le lacrime – ma non vi descrivo quanto vedemmo, perché non si può descrivere.
Solo un flash si impone: la signora moglie del Comandante del Campo ( e questa è storia) amava dire che Auschwitz per lei « era un Paradiso» . Viveva ella infatti tra gli ori, gli argenti e i merletti che circa due milioni di persone ( la cifra non sarà mai certa) avevano ingenuamente portato con sé nel viaggio, oggetti di valore che naturalmente erano stati loro sequestrati prima di farli passare per il camino.
Fuggì, la signora, prima dell’ arrivo dei russi . Ma fu rintracciata qualche anno dopo, e giustiziata.
Come fu giustiziato – prima di lei, mediante impiccagione – il Comandante del Campo: nella stessa “ area forche “ ove egli tanto si divertiva a veder penzolare le vittime.
Terminò la visita ad Auschwitz, e l’ ora di pranzo era passata da un pezzo. Uscendo dall’ orrore, alcuni di noi si precipitarono all’ unico chiosco a comperare qualche bottiglia d’ acqua minerale ( faceva un caldo spaventoso).Altri andammo al Book shop.
Uno si lamentò. Ma insomma, qui non c’è niente da mangiare. Lo guardai furibonda.
-Ma dopo quello che hai visto, hai voglia di mangiare ???
Non replicò.
Una breve sosta e poi –qualche minuto di pullmann, e sempre con la nostra Guida dalla melodiosa voce – eccoci a Birkenau .
La nostra Guida ci avverte : vedrete poco, perché all’ arrivo dei russi cercarono di distruggere tutto, ma quel poco che vedrete vi basterà : «In confronto, Auschwitz era quasi un resort ».
Mio Dio, se aveva ragione.
Dalla preservata torretta di avvistamento si spazia su quello che era stato il più esteso Konzentrationslager
L’ orrore si aggiunge all’ orrore , soprattutto quando ci accompagnano a vedere le latrine che, nella fuga, i nazisti non erano riusciti a distruggere : un percorso infinito di buche lapidee, centinaia e centinaia , dove i prigionieri – prima della vita – perdevano giorno dopo giorno la dignità della dimensione umana. «Qui stavano bene solo le pulci , i pidocchi e gli altri insetti» conclude la voce melodiosa alla quale – mentre ancora visitavamo il Book shop ( altro non c’ era) chiedevo
-Ma Lei, ha avuto parenti o amici che hanno perso la vita qui?
-Tutti noi che facciamo le Guide abbiamo perso qui parenti e amici, è per questo che facciamo questo nostro servizio. Perché la gente che viene qui non dimentichi .
L’ abbraccio piangendo, e lei mi abbraccia piangendo.
Riprendiamo il pullmann per rientrare a Cracovia.
A bordo nessuno parla.
Quasi tutti leggiamo i libri che abbiamo acquistato e – letti o sfogliati a seconda della dimensione – ce li scambiamo.
Siamo annichiliti.
A Cracovia è sera, ma è piena estate, e c’è ancora tanta luce.
Ci ritroviamo sulla piazza principale della città, per una ultima bicchierata insieme. Domani si torna a casa. Ci rivedremo al prossimo meeting di ERES ma , nel frattempo, ci sentiremo per email.
Sì, torni a casa, e incomincia l’ incubo.
Per mesi e mesi, appoggiando la testa sul cuscino, il sonno tardava a venire nonostante le stanchezza della giornata. C’ erano ancora negli occhi le stanze delle torture, i cortili delle fucilazioni, le camere a gas, i forni crematori, e via via sino a quelle tremende file di latrine.
Mi pentivo ogni sera di esserci andata, ad Auschwitz e a Birkenau. E poi, riconquistando il sonno, mi dicevo : «Dovrebbero andarci tutti , obbligatoriamente».
E ogni volta la stessa domanda: ma come è potuto succedere che uno dei popoli più colti e intelligenti d’Europa ha potuto – solo pochi decenni orsono- fare qualcosa del genere ? Cosa ha scatenato quella follia? Ipnotizzati? Drogati dall’ aria che respiravano? O qualche cosa che non sapremo mai?
L’ incubo durò molti mesi. E ogni tanto mi torna ancora fuori.
Una cosa è certa: alla visita che ho descritto sopra non aveva partecipato nessuno dei nostri amici tedeschi di ERES .
Alla mia domanda, il giorno successivo, la risposta era sempre la stessa : «Non posso, non posso, NON POSSO, anche se io sono nato tanto tempo dopo».